“Fratelli tutti“ è la terza enciclica del pontificato bergogliano. Sulla tomba del Patrono d’Italia, nella ricorrenza del Santo, Papa Francesco, al termine della celebrazione eucaristica, sull’altare della Basilica inferiore in Assisi, ha firmato la sua nuova lettera enciclica che ha per sottotitolo “Sulla fraternità e l’amicizia sociale” e che si ispira ad uno degli scritti più celebri di San Francesco: “Guardiamo, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce“ (Ammonizioni, 6, 1: FF 155).
Il testo è nello stile di Francesco, corposo, incisivo, colmo di moniti per le questioni attuali come la cultura dello scarto, che viene ripresa più volte e definita il vero virus da vincere con la fratellanza, come fece san Francesco che, una volta trovata dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri.
Per il Papa tutti insieme abbiamo la “grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti”. Il futuro è, infatti, tutto in queste due parole “fratelli tutti”. Si tratta di un progetto universale che possa dare vita così ad una società fraternamente unita. Da questo si coglie come il successore di Pietro sia in ascolto profondo del grido del mondo intero, che in questi mesi è stato colpito duramente dalla pandemia. In fondo, tutta l’enciclica nasce da questo bisogno di vicinanza estrema a ciascuno di noi, non risparmiando solidi appelli ai governatori del pianeta, ad “alimentare ciò che è buono e a mettersi al servizio del bene, praticando l’arte dell’aver cura verso i più dimenticati, i più fragili della terra”.
Senza questa cura non c’è fraternità vera. Tutto rischia di diventare finto, ambiguo, inaffidabile. Dalla cura reciproca nascono le relazioni di fiducia, di rispetto, di cammino condiviso. Ecco perché proprio nel cuore dell’enciclica il Papa sottolinea che “non va ignorato il rischio di finire vittime di una sclerosi culturale” che è da intendersi come una paralisi dei sentimenti buoni, della carità, della solidarietà e della capacità di comunicare, di scoprire cioè le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti.
Primario deve essere poi il lavorare insieme per la giustizia e per la pace, concetto chiave che abbiamo potuto già approfondire come diocesi studiando il prezioso Documento sulla Fratellanza firmato da papa Francesco e dall’imam Ahmad al-Tayyeb ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019.
A tutti i politici è richiesta la responsabilità di spezzare la spirale dell’odio, con tutte le sue forme. E lo si potrebbe fare pronunciando la sola parola “fratello”, con lo sforzo generoso a rendere il mondo più conforme all’inviolabile dignità di ogni uomo e di ogni donna. Solo la fratellanza può ridarci il gusto della vita e l’orientamento certo per mettere fine alla distruzione a causa della guerra, del degrado dell’ambiente, della corruzione. Ma nell’enciclica è anche sottolineato un altro aspetto altrettanto importante ed è l’amicizia sociale.
Essere fratelli ed essere amici coincide. Sono i due poli inseparabili e coessenziali dai quali deriva la cultura del dialogo come via tracciata dallo stesso san Francesco. Disgiungerli – scrive il Papa- porta ai conflitti, alle chiusure, ai muri, alle persecuzioni. Nell’enciclica si parla di fraternità, prossimità, mondo aperto, coraggio dell’alterità e accoglienza, diritti umani e cittadinanza, religioni e tenerezza, sacralità della persona e della vita. Parole ricche di profezia che il Papa ci offre per imparare a non cedere alle seduzioni dell’indifferenza, del razzismo, del materialismo, dell’odio e dei pregiudizi e reagire all’ingiustizia sempre in favore del bene comune, perché non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà dato futuro.