Partiamo dal detto di S. Agostino “Chi canta prega due volte” per fare una riflessione sul canto sacro. Già il Re e Patriarca Davide si esprimeva con la preghiera cantata, accompagnato dall’arpa: i Salmi. I Salmi ci parlano di uno stare davanti a Dio fatto di molteplici toni e colori dell’esperienza umana: i temi che vi risuonano sono quelli della lode, del ringraziamento, della benedizione, ma anche quelli della domanda smarrita, dell’invocazione, del lamento e persino della mormorazione.
IL PAPA CI INVITA A PREGARE CON IL CUORE, NON COME I PAPPAGALLI. In uno degli ultimi incontri pubblici, il Papa ha proferito un concetto sulla preghiera molto penetrante: “Non pregare come i pappagalli, ma con il cuore!”. Tutti abbiamo sperimentato questo duplice atteggiamento. Quando preghiamo come i pappagalli non ci muoviamo di un centimetro e rimaniamo statici nella nostra realtà. Quando, invece, la preghiera scaturisce, con sincerità, dal cuore, il mondo intorno a noi diventa luminoso. Il canto ci aiuta a penetrare in questo secondo aspetto e si radica in quel dinamismo interiore che parte dal cuore. Il canto, quindi, ha tante dimensioni e molteplici sfumature, ma vediamo di cogliere quelle più consone all’espressione agostiniana: il canto esalta la preghiera, la espande, la amplifica e le dà respiro. Coinvolge tutto il nostro essere: spirito, mente, cuore, sensibilità. Non vogliamo parlare di queste cose in astratto; ci facciamo aiutare da chi vive con intensità l’esperienza della preghiera cantata nella realtà ecclesiale e parrocchiale: Salvatore Manna, responsabile del Coro nella Parrocchia dei Ss. Erasmo e Martino di Bojano, retta dal Sacerdote Don Giovanni Di Vito.
IL CANTO LINGUAGGIO UNIVERSALE. Salvatore: “Credo fermamente che il canto è preghiera. La musica e, quindi, il canto, fanno parte di quei linguaggi universali capaci di raggiungere la parte più intima e nascosta dei cuori. Il canto è in grado di smuovere e ridestare gli animi, dare emozioni, far risvegliare tutto ciò che è assopito o addirittura dormiente, far gioire, fa sorridere e, perché no, anche rattristare o far piangere: ecco perché è in grado di dare slancio e forza alla preghiera. Mettere in musica dei concetti, dei salmi, dei passi narrati nelle Sacre Scritture o semplicemente della parole che Gesù stesso, nella sua evangelizzazione, ha pronunciato, amplifica in maniera straordinaria ciò che si ascolta e fa sì che entri nelle persone in maniera netta e comprensibile. L’essere umano racchiude in sé una parte razionale guidata dalla testa e una parte emozionale, guidata dal cuore e dai sentimenti. È qui che, per me, rientra la musica e in particolare la preghiera in musica.” Esiste il momento della preghiera individuale e quello collettivo. Il canto predilige maggiormente la componente ecclesiale. Si canta insieme, in coro, in assemblea. Il canto ecclesiale diventa l’esperienza di fede di una comunità festosa che inneggia al Signore. L’assemblea che non canta denota una povertà di spirito e una aridità esistenziale. L’esplosione della gioia raggiunge il suo apice nella celebrazione eucaristica, memoriale della Pasqua del Signore, della vittoria sulla morte. “Possono i discepoli digiunare, essere cioè tristi e sofferenti, quando lo sposo è con loro?”. Da questa affermazione di Gesù discende il secondo intervento di Salvatore: “Avevo dieci anni quando ho iniziato a prendere parte alle prove del coro parrocchiale. È stato il mio primo approccio ad un’esperienza di canto fatto in coro ma da subito me ne sono interessato ed appassionato. Sono cresciuto cantando e facendo del canto un cammino di fede e di preghiera; ora che sono adulto, insieme alla mia famiglia, continuo a portare avanti questo interesse e impegno con costanza e dedizione. Negli anni il mio ruolo all’interno del coro è cambiato. Ora mi ritrovo ad essere “una guida”, musicalmente parlando. Non sono un maestro di coro ma semplicemente un appassionato che ama dare il proprio contributo e la propria disponibilità per quello che può essere definito un servizio rivolto alla comunità e alla parrocchia. La bellezza del canto corale sta nel fatto che non si predilige l’aspetto solistico e d individuale ma bensì l’assemblea, il gruppo, la coralità. Il canto in coro è un equilibrio di tante voci che devono suonare all’unisono. Grazie al coro la voce più forte è in grado di aiutare quella più debole e la voce più debole acquisisce forza e sicurezza nella voce più forte. È un darsi a vicenda, ci si accorda l’uno con l’altro proprio come nella vita di insieme. Il valore del canto in gruppo riesce a dare più intensità e forza alla preghiera stessa”. Il canto svolge anche un prezioso e insostituibile servizio alla liturgia, ne esalta la bellezza e la solennità. Ascoltiamo l’esperienza di Salvatore: “All’inizio non davo importanza alla contestualizzazione del canto all’interno della liturgia. Trovandomi adesso a svolgere un ruolo di guida ho maturato la consapevolezza che il canto è di supporto alla celebrazione e non di sostituzione o addirittura sopraffazione alla stessa. Il repertorio di musica sacra, attualmente, è davvero molto vasto e vanta tanti compositori che scrivono testi e compongono musiche liturgiche. Ad oggi si dispone di ampia scelta di canzoni di diversi generi e stili musicali, a cui è possibile ispirarsi e che possono essere riproposte all’interno delle proprie realtà parrocchiali. Tuttavia ciò che permette al canto di raggiungere il suo vero obiettivo, ovvero la preghiera comunitaria, ciò che fa da reale guida, per la scelta più appropriata, è la Parola di Dio che viene proclamata liturgicamente. La musica, quindi, diventa di contorno alla liturgia, ne rafforza la componente spirituale ma anche quella emozionale e introspettiva. Il canto, quindi, nella liturgia, diventa accompagnamento verso una maggiore consapevolezza del mistero che viene annunciato e proclamato”.
LA MUSICA QUALE STRUMENTO DI EVANGELIZZAZIONE. Attraverso il canto disponiamo anche di un canale missionario e di evangelizzazione. Salvatore: “Indubbiamente il canto può diventare via di comunicazione prediletta per portare agli altri un messaggio. La musica sacra ha una grande rilevanza quale forma e supporto alla evangelizzazione. Sono stato testimone, in quanto presente, del tragico evento che vide la morte del nostro amato parroco Don Stefano Gorzegno, quando, sul lido della città di Termoli, attuò l’eroico gesto salvando diversi bambini, tra cui io, dall’annegamento, fino al sacrificio della sua esistenza. Questo episodio ha segnato profondamente la mia vita e mi ha fatto maturare e crescere nella fede. È sembrato giusto a me ed altri componenti del coro, mettere sù spettacoli che in qualche modo parlassero di lui, della sua fede e del suo continuo affidarsi a Dio. È da qui che sono nati i primi concerti di musica sacra che attraverso canzoni, parole ed immagini hanno ripercorso la vita e il cammino di fede di Don Stefano, ma non solo. Negli anni sono stati proposti vari musical, dove sono state affrontate tematiche di attualità sui grandi problemi che attanagliano la vita degli uomini e sulle risposte che la Fede propone. Ogni concerto, ogni musical ha avuto come finalità ultima la volontà di portare agli spettatori un messaggio di amore e di speranza, quale piccola goccia, piccolo fermento, affinché avvenga per il mondo intero quella che è la conversione più grande, quella del cuore”. Per terminare, quale migliore chiusura citiamo il Salmo 95: “Cantate al Signore un canto nuovo; cantate al Signore, uomini di tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il Suo nome”. Si vive la fede nella dimensione del canto nuovo. Il canto è nuovo non perché ogni volta si modifica nella sua forma e nel suo contenuto ma perché si inserisce continuamente nella novità storica, nel quotidiano, nella concreta e cangiante realtà, facendoci scorgere le orme invisibili di Dio.
Antonio Romano