Il 6 aprile 2021 il teologo svizzero Hans Küng terminava il suo pellegrinaggio terreno. Tale evento ha fornito l’occasione di tornare a riflettere sulle sfide che la sua proposta teologica offre alla Chiesa oggi. Il nome stesso di Küng richiama alla mente la travagliata vicenda che lo vide protagonista in un acceso dibattito con la Congregazione della dottrina della Fede, allora guidata da Joseph Ratzinger. Il pensiero teologico di Küng fa sorgere profondi interrogativi nell’animo del lettore, e in questo senso molti ne sorsero anche in Congregazione. Il suo contributo alla teologia non è solo un contro un certo modo di pensare, ma contribuisce anche alla crescita teologica della comunità credente. Hans Küng non può essere ricordato solo per ciò che ha criticato, ma per ciò che ha dato alla Chiesa lungo gli anni della sua vita, interamente dedicata alla sincera ricerca della verità. La sua produzione teologica è ampia, e si estende in più campi di ricerca: dalla teologia fondamentale, alla cristologia e all’antropologia, dall’escatologica, al rapporto tra teologia e altre scienze. La chiarezza espositiva di chi conosce profondamente ciò di cui sta parlando è un elemento che accomuna tutte le sue opere. Küng ha cercato di esporre in termini comprensibili il significato dell’essere cristiani nel mondo d’oggi.
Il metodo
Küng è descritto come uno dei maggiori teologi del dissenso, che si colloca, cioè, nella linea della critica alla teologia classica, pre e post conciliare, ma anche uno dei più propositivi: il suo pensiero offre proposte teologiche concrete, con lo scopo di contribuire a un rinnovamento del modo di annunciare il Vangelo. Egli infatti non si limita alla mera critica alla teologia classica ed è consapevole che è dovere di chi critica offrire proposte chiare e concrete per esprimere in termini positivi i valori del cristianesimo. Una tale esigenza, nota già alla retorica classica, per cui alla pars destruens deve seguire una pars costruens, è non solo una necessità della critica, ma è anche una via di accesso a Dio. Per Küng, infatti, l’uomo d’oggi ha nel cuore una aspirazione all’andare oltre, al trans-scendere, dovuto oltre che alla condizione umana in sé, anche alla presa di coscienza del limite delle grandi narrazioni metatecnologiche e metarivoluzionarie dinnanzi alle grandi domande dell’uomo. Nel secolo scorso, l’umanità ha preso coscienza che queste narrazioni si rivelano come delle utopie che corrono “il pericolo di far dipendere l’emancipazione definitiva da grandezze finite, interne al mondo”. Ridimensionate queste realtà, che pure ebbero la pretesa di essere l’assoluto, all’uomo resta il desiderio dell’oltre, per il quale – secondo Küng – la fede può tornare a costituire una risposta. Infatti “quei problemi socio-religiosi dell’uomo, problemi ultimi e insieme primissimi, che non si possono assolutamente elidere, ricevono una risposta che viene dalla realtà di Dio”.
La dimensione della fede
Küng offre anche un bella riflessione sulla fede. La fede in Dio è fondamentalmente un movimento fiduciale, che si esplica nel ricondurre a Dio la propria esistenza, sentendosi accolti da lui. Essa è qualcosa che interroga non solo la ragione, ma l’uomo nella sua totalità, in una dimensione soprarazionale, non cadendo però nell’irrazionalità, in quanto si esplica nel rapporto concreto con il prossimo, per cui “senza l’esperienza di un’accettazione da parte di altri uomini appare improbabile l’esperienza di un’accettazione da parte di Dio”. Tali caratteristiche costituiscono nodi centrali per la comprensione dell’autentica esperienza di fede ancora oggi.
Da un lato, infatti, la fede è chiamata a riconoscersi come un atto che trascende la realtà materiale, nella consapevolezza che essa non sempre e non totalmente può essere ridotta alla dimensione razionale: dalla ragione può essere compresa e accolta, ma – proprio in quanto fede – è chiamata a oltrepassare i limiti del pensare umano. Si evitano così due pericoli che restano costantemente in agguato nel cammino di fede dell’uomo contemporaneo: da un lato il razionalismo, e dall’altro il fideismo. Non si può negare che sempre più spesso i cristiani sono presi da un febbrile sentimentalismo fideistico, che non solo non ha nulla di razionale, ma rifiuta anche quella dimensione che Küng definisce soprarazionale. Le caratteristiche della fede cristiana, come espresse dal teologo svizzero invece, richiamano ad una più equilibrata consapevolezza, che fugge il degradamento quasi pagano o esoterico, che una religione fideistica porta con sé.
Accanto alla soprarazionalità Küng pone una seconda caratteristica, che costituisce la condizione di possibilità dell’atto di fede: l’esperienza dell’accoglienza. Se la fede è affidamento a Dio, come ogni affidamento presuppone un essere accolti da colui al quale ci si affida: ma se non si è fatta l’esperienza umana dell’essere accolti profondamente, in via ordinaria sarà difficile accettare di essere accolti da parte di Dio. Questo punto costituisce una duplice sfida per i cristiani d’oggi: da un lato essi sono chiamati ad accogliersi tra di loro, perché possano essere segno dell’accoglienza dell’uomo da parte di Dio. D’altra parte, per essere veri evangelizzatori, devono accogliere l’altro, così da porre in essere quella condizione che permette all’uomo di vivere la fede come accoglienza da parte di Dio.
- La questione della giustificazione
Il contributo di Küng al pensare teologico non si esaurisce nei punti appena messi in evidenza. Tra i più grandi contributi che egli offrì per il cammino di approfondimento teologico della teologia contemporanea spicca certamente la riflessione sulla questione della giustificazione.
E’ questo, infatti, un punto della dottrina che per lunghi secoli ha separato le confessioni cristiane, in particolar modo la tradizione cattolica e quella riformata. Solo nel 1999 si è giunti a una Dichiarazione congiunta tra le due parti, nella quale si afferma una sostanziale convergenza delle varie posizioni. La tesi di Küng dal significativo titolo “La giustificazione. La dottrina di Karl Barth e una interpretazione cattolica”, pubblicata per la prima volta nel 1957, contribuì non poco a tale cammino. In quest’opera il teologo svizzero cercò di porre in dialogo la dottrina cattolica sulla giustificazione del peccatore, così come espressa dal Concilio di Trento, e quella espressa dalla teologia di K. Barth. È significativo quanto lo stesso Barth scrive a Küng dopo aver letto la sua opera, affermando che, seguendo l’interpretazione di Küng, egli approverebbe pienamente la dottrina cattolica sulla giustificazione e “dopo essere già stato tre volte nella chiesa di S. Maria Maggiore a Trento io mi imporrei di tornarvi in fretta: questa volta per confessare un contrito: patres peccavi!”. Con onestà intellettuale Küng riconosce che la sua è solo una interpretazione cattolica: tale interpretazione, però, contribuì profondamente al dialogo e alla Dichiarazione congiunta.
2. Conclusione
A conclusione di questo breve contributo sembra utile offrire una bibliografia parziale ed essenziale delle opere di H. Küng che permetta al lettore di avere una idea circa la sua produzione teologica, e dia la possibilità di approfondire quanto appena accennato nei punti precedenti:
- La giustificazione, Queriniana, 1979 (ultima edizione).
- Perché il mondo creda, Borla, 1964.
- Preti perché?, Anteo, 1971.
- Incarnazione di Dio, Queriniana 1972.
- Cos’è la confermazione, Queriniana 1976.
- Essere cristiani, Mondadori 1976.
- L’infallibilità, Mondadori 1977 (precedentemente pubblicato con il titolo Infallibile? nel 1970, in occasione del primo centenario della proclamazione del Dogma dell’Infallibilità).
- Vita eterna?, Milano 1983.
- Una battaglia lunga una vita, Rizzoli 2014.
Don Davide Giuseppe Picciano