Giuseppe Jovine (1922-1998) è stato un grande cantore del Molise.
Riconosciuto dalla critica tra i massimi esponenti letterari del secondo Novecento, aveva trovato costante fonte d’ispirazione nel «rapporto inestricabile con il luogo delle sue origini», come aveva colto acutamente Mario Luzi nell’esprimere la sua ammirazione per la poesia di Jovine intitolata “Le mie radici”.
Nella ricorrenza del centenario della nascita, lo ricordiamo anche quale appassionato cultore delle “virtù tradizionali” del Molise, ch’egli ha cantato in versi ricchi di pathos e di nostalgica emozione.
«Importante è per me organizzare la vita secondo giustizia e lottare per il trionfo del bene, del vero e del bello», scriveva Jovine in una lettera all’amico Mons. Vincenzo Ferrara. «Importante è vivere col gusto di tali valori, in armonia con le cose, con la natura, ed armare la vita semplice secondo i ritmi di una attività umana e non bestiale; in sostanza, con la buona creanza e la morigeratezza che sono poi le virtù tradizionali del Molise».
Giuseppe Jovine nacque il 20 novembre 1922 a Castelmauro (CB) in un antico Palazzo che era appartenuto ai duchi di Canzano. All’età di undici anni iniziò gli studi presso l’Istituto Salesiano di Macerata, dove scrisse il suo primo articolo poetico dedicato a Gabriele D’Annunzio. Studiò poi all’Università di Firenze e, dopo la guerra, si trasferì a Roma, dove divenne insegnante di italiano nei Licei, e quindi Preside.
Dal 1949 al 1988 collaborò con “Il Paese Sera”, “l’Unità”, “Il Tempo”, e con diverse riviste letterarie. Molto produttivo fu il suo sodalizio con il grande meridionalista Tommaso Fiore, con il quale fondò nel 1970 la testata “Il Risveglio del Mezzogiorno”.
Con il trascorrere degli anni, Giuseppe Jovine divenne un protagonista della società letteraria, intrattenendo rapporti di amicizia e collaborazione con personaggi come Carlo Giulio Argan, Libero Bigiaretti, Alberto Bevilacqua, Maria Luisa Spaziani, Giuliano Manacorda, Giose Rimanelli, Tullio De Mauro, Francesco D’Episcopo, Mario Petrucciani.
Tra i suoi libri più importanti, vanno ricordati: le poesie in dialetto molisano “Lu Pavone” (1970) e “Chi sa se passa u’ Patraterne” (1992); le raccolte di racconti “La Luna e la Montagna” (1972) e “La sdrenga” (1989); l’antologia di versi in lingua “Tra il Biferno e la Moscova” (1975); i saggi critici “La poesia di Albino Pierro” (1965) e “Benedetti Molisani” (1996); oltre al prestigioso volume antologico che l’editore Peter Lang di New York volle dedicargli nel ‘93, con la traduzione in lingua inglese dei suoi versi a cura di Luigi Bonaffini.
Il 29 agosto 1998 Giuseppe Jovine, all’età di 76 anni, muore improvvisamente a Castelmauro nella sua amata terra di Molise. Nel 1999, pubblicata postuma a cura del figlio Carlo, esce la raccolta in versi intitolata “Viaggio d’inverno”, che comprende brani scritti tra il 1975 e il 1990, dove Jovine raggiunge il suo massimo livello espressivo. Sempre a cura del figlio Carlo, nel 2005 viene pubblicato il volume di racconti “Gente alla Balduina”, dove «il narratore molisano di Roma nostra» – come lo definì Stanislao Nievo nella prefazione – percorre il quartiere romano dove ha vissuto, osservando le cose «con la libertà curiosa, la filosofia nascosta e l’arguzia morale» che hanno sempre contraddistinto il suo approccio alla vita e alla poesia.
Nel paese di Castelmauro l’antico Palazzo ducale conserva ancora oggi la sua natura di tempio di memorie del percorso esistenziale e creativo di Jovine. Sul frontale del Palazzo è presente una targa dove sono incise le seguenti parole: «In questa casa visse il poeta Giuseppe Jovine che, nel linguaggio universale della poesia, cantò l’amore per la sua gente e la sua terra».
Per questo particolare rapporto con il luogo d’origine – oltre che per la statura letteraria di Jovine – il Comune di Castelmauro ha deliberato, nel 2018, di intitolare una piazza in onore del poeta.
Piazza “Giuseppe Jovine” è oggi prospicente al Palazzo ducale Jovine, sulla cui facciata i passanti e i visitatori possono leggere questi splendidi versi, a testimonianza di un amore viscerale per la propria terra natia:
«Qui torno amaro dopo ogni sconfitta
per non desistere dal denso esistere
col cuore d’esule senz’altro arredo
che il canto dei mattini ed ogni sconfitta
torna a splendermi come una vittoria.
Qui ogni albero ha il suo vento
ogni rovo il suo lamento
ogni radura il suo silenzio.
Qui nasce la mia storia.
Qui ciò che penso è mio».
Massimo Nardi
Ricordando mio padre Giuseppe Jovine
Nella triste e religiosa ricerca che ogni figlio intraprende dopo la morte dei propri cari, ho trovato, tra i libri e le carte di mio padre, una raccolta di poesie inedite intitolata “Viaggio d’inverno”: ne ho curato io stesso un’edizione postuma.
Scrive Francesco D’Episcopo nella prefazione: «Un Ulisse molisano e mediterraneo, sempre pronto a ripartire per nuove avventure e nuove sfide…».
Un giudizio, quello di D’Episcopo, che coglie due aspetti essenziali della personalità poetica di mio padre: la vitalità e la “molisanità”, andando ad aggiungersi all’ampio repertorio critico che aveva proiettato Giuseppe Jovine nel novero dei più significativi poeti del secondo Novecento.
Il dialogo con la propria terra era per mio padre conversazione con sé stesso, con la propria storia, attorno alle domande che inquietano gli uomini, in un groviglio di memorie personali e collettive. Nel suo poetare egli affidava alla lingua e al dialetto la riscoperta del reale nei suoi mille dettagli, in cui si rivela un significato universale.
In una sua “poesia testamento”, dedicata a mio figlio Riccardo, aveva scritto: «E con fili di seta, rame e acciaio / trama la vita e inventala ogni giorno / e guarda il sole anche se l’aria è scura…».
E in una lettera, a lui inviata dal fraterno amico scrittore Giose Rimanelli, si possono leggere queste parole che attestano un comune percorso creativo e spirituale: «Questo Molise era e resta il primo luogo della tua e della mia vita, sacro al di là del travaglio, l’estraniamento, l’emigrazione. Insieme abbiamo camminato l’arcobaleno della fortuna. Abbiamo così imparato come salvare l’umana innocenza nel difficile corso del breve vivere…».
Carlo Jovine