Alla vigilia della grande guerra mi trovai a profetizzare che milioni di uomini stavano per essere massacrati in una guerra dei mondi paragonabile a quella di H.G.Wells solo perché uno sbocco sul Mar Nero era vantaggioso per l’imperatore d’Austria.
Nel Tempo ritrovato della mia Ricerca immaginai che Gilberte mi scrivesse così:
“Voi non avete idea di cos’è la guerra, mio caro amico, e dell’importanza che vi assume una strada, un ponte, un’altura.
Quante volte ho pensato a voi, alle passeggiate fatte con voi, e grazie a voi rese deliziose, in lungo e in largo per questa contrada ormai devastata, dove oggi si stanno sferrando immensi combattimenti per il possesso di tale strada, di tale poggio che voi amavate, e dove siamo stati così spesso insieme.
Probabilmente neppure voi, al pari di me, avreste mai immaginato che l’oscura Roussainville e l’opprimente Méréglise, donde ci portavano le nostre lettere, e dove andarono a cercare il dottore quando vi ammalaste, sarebbero diventati luoghi famosi (…)
Il viottolo che amavate tanto, quello che noi chiamavamo il sentiero dei biancospini e dove, a sentir voi, vi sareste innamorato di me quand’eravate piccolo, mentre con tutta sincerità vi assicuro che ero io ad essere innamorata di voi, non so dirvi l’importanza che ha assunto.
L’immenso campo di grano cui fa capo è la famosa quota 307 che chissà quante volte avrete sentito nominare sui bollettini. I francesi vi hanno fatto saltare il ponticello sulla Vivonne che, dicevate, non vi ricordava quanto avreste voluto della vostra infanzia, i tedeschi ve ne hanno gettati altri, per un anno e mezzo hanno tenuto in pugno una metà di Combray e i francesi l’altra metà.”
Era la mia personale trasposizione della battaglia di Verdun in quella immaginaria di Combray (Illiers nella realtà). Intendevo farmi interprete di tutti quelli che dopo la guerra vedono devastati i luoghi in cui si sono formate le più care esperienze.
In altri luoghi risulta chiara a tutti la mia satira sul lavaggio del cervello operato dall’informazione in tempo di guerra; basti dire che per esempio Charluss reagisce in maniera violenta alla germanofobia dei quotidiani.
La rivedo perfettamente, questa malattia, nelle implicite istigazioni all’odio che in questi mesi crea una barriera insormontabile fra le parti, al punto da proibire anche la competizione sportiva agli atleti del paese nemico.
Anche il mio sarcasmo sulla bella vita che si continuava a fare a Parigi durante quell’inutile massacro, come lo definì allora Benedetto XV, potrebbe applicarsi alle discettazioni salottiere sull’opportunità di emettere sanzioni contro la Russia o mandare armi in Ucraina.
Dimenticando, come ai miei tempi, di coltivare la trattativa, unica soluzione contro la guerra, quella che ho descritto come l’ennesima dimostrazione della vanità di ogni credenza individuale o collettiva.
Marcel Proust
Questo narratore gigantesco ha dato spazio nella sua “Ricerca” a un altro fenomeno partorito dalla cattiveria umana, l’affare Dreyfuss.
In un clima di generale schieramento ostile al militare ebreo ingiustamente accusato di tradimento, Marcel Proust, con la stessa onestà intellettuale dell’altro gigante Emile Zola, fa un’obiettiva disamina dei fatti, diffidando delle ricostruzioni antisemite del tempo.
E si segnala anche per il coraggio con cui si distingue dal coro dell’antigermanesimo che attraversa l’opinione pubblica in Francia durante la Grande Guerra.
Ancora una volta un grande autore ci illumina sull’angustia disarmante della visione di chi ripete stancamente e ritualmente un mantra bellicista che si autoalimenta dell’adesione di una maggioranza sempre più vilmente allineata, che stride in misura gigantesca con il metodo di rappresentazione della vita degli uomini che investe la “Ricerca” di Proust: l’esercizio utile ed estremamente vitale del criterio di relatività.
Ogni prospettiva varia e deve variare, è legittimo e giusto e produttivo che vari secondo le persone, i luoghi e i tempi, per assicurare l’esatta proporzione degli eventi.
Il “Tempo ritrovato” di Proust è appunto il recupero di quel passato che educa le reazioni dell’uomo al fine di escludere ogni miraggio di assoluta verità. E l’ascolto dell’opinione degli autori che ci hanno preceduti richiama a una visione equilibrata degli avvenimenti di questa sciagurata guerra.
Roberto Sacchetti