Ci si sofferma sugli sbarchi e non sui problemi dell’accoglienza. Riflettere sulle migrazioni, ragionare di immigrazione oggi, mentre abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini sconvolgenti della tragedia di Steccato di Cutro, è quanto mai necessario. Al di là della immediata empatia che quelle immagini hanno provocato nelle nostre coscienze, è innegabile quanto sia insidioso approcciare il tema dell’immigrazione per le complessità che si trascina dietro, stretto com’è fra le tante implicazioni di natura culturale, sociale, economica e politica che ne fanno un “questione” dai contenuti sensibili e ad alto tasso di divisività, ostaggio di un dualismo manicheo fra favorevoli e contrari, buonisti e pragmatici, globalisti e sovranisti.
Qualunque sia il punto di vista sul fenomeno migratorio, persiste un clima ora di diffidenza, ora di ignoranza, ora di strumentalizzazione ideologica; ci si sofferma sul fenomeno degli sbarchi e dei richiedenti asilo (104.061 persone sbarcate nel 2022 e 77.200 domande di asilo presentate) e si omette di considerare e di discutere di quelli che già ci sono, gli oltre cinque milioni di stranieri che vivono in Italia e che, insieme a noi italiani, lavorano, studiano, abitano, partecipano, contribuendo alla ricchezza, economica ed umana del nostro Paese.
Gli stranieri sono utili per la nostra economia
Ripetutamente gli analisti economici ci ricordano che la presenza degli stranieri è fondamentale per il sostegno che essi danno in ogni segmento della vita economica del nostro Paese, per il contributo che danno al PIL (nel 2022 il 9% del totale, circa 144 miliardi di Euro, secondo la Fondazione Moressa), alla tenuta de sistema pensionistico (versano in media 10 miliardi di euro all’anno in contributi e costano, in termine di pensioni erogate, circa 1 milione di euro – dati INPS 2019), e del welfare (secondo la Fondazione Moressa nel 2022 a fronte di 28,2 miliardi di Euro di entrate, la spesa pubblica italiana destinata ai cittadini stranieri si è attestata in 26,8 miliardi di Euro, con un saldo positivo per 1,4 miliardi di Euro); ciononostante la politica in questi anni continua ad approcciare il tema con l’idea dell’ospite “indesiderato”, preoccupata di contenere il fenomeno attraverso provvedimenti tesi a scoraggiare l’immigrazione più che governarla La politica deve porre attraverso le basi per un progetto di società inclusiva. In tanti, società civile ed organizzazioni che si occupano di immigrazione, hanno sperimentato strumenti e mezzi nel tentativo di facilitare questo processo.
La Bossi Fini è più un ostacolo che una garanzia
L’ingresso legale in Italia è consentito agli stranieri sulla base di una legge che ha ormai venti anni e non tiene conto delle profonde trasformazioni intervenute nella società globale. La c.d. Bossi-Fini regola l’ingresso dei migranti economici, di chi sostanzialmente chiede di entrare in Italia per lavorare, sulla base di flussi di ingresso predeterminati annualmente da un decreto; la norma ha manifestato in questi anni tutta la sua inefficacia sia nei meccanismi di definizione delle “quote” (insufficienti rispetto alla domanda), sia nei meccanismi che regolano l’ingresso di manodopera (il potenziale datore deve intercettarla direttamente nei paesi di origine), sia nei meccanismi che regolano la possibilità di permanenza di quanti si ritrovino in una condizione di irregolarità per aver perso il lavoro, sia nei meccanismi che regolano la detenzione amministrativa ed il rimpatrio dei c.d. irregolari (necessità di accertamento della cittadinanza di origine e di accordi con i Paesi di origine).
L’esito di questa inadeguatezza legislativa è dimostrato dalle ripetute sanatorie intervenute dal 2002, anno di varo della norma, per regolarizzare lavoratori e lavoratrici stranieri e dal ricorso alla “richiesta di asilo” come unico strumento per ottenere un permesso di Soggiorno in Italia. I racconti di tanti migranti che abbiamo accolto nel corso degli anni riportano esperienza di profonda frustrazione anche solo per ottenere un appuntamento con le ambasciate italiane e spesso “mediatori” più o meno autorizzati si propongono come facilitatori per il rilascio di visti dietro pagamento di somme di denaro talmente ingenti da rendere maggiormente concorrenziale la tariffa chiesta da un trafficante per l’ingresso illegale. Se ripensiamo ai sopravvissuti di Cutro, ci accorgeremmo che tutti erano profughi in fuga da aree di conflitto (Afghanistan, Siria, Pakistan) e tutti erano diretti in qualche paese dell’Europa, dove erano attesi da familiari: se fosse stato più semplice ricongiungersi alle famiglie pensate si sarebbero imbarcati su un peschereccio di fortuna sapendo il rischio a cui andavano incontro? Tutte le legislazioni dei Paesi UE, Italia compresa, scoraggiano il ricongiungimento delle famiglie anziché favorirlo, questa come altre norme danno esattamente la misura di quanto l’Europa e l’Italia siano miopi difronte alla sfida epocale a cui sono chiamate.
Necessità di una riforma del Regolamnento di Dublino
Per quanto riguarda l’Asilo, il nostro Paese non ha ancora una norma organica interna che dia attuazione all’art. 10 della Costituzione, ma la materia trova applicazione attraverso il recepimento delle Direttive dell’Unione Europea. Tuttavia, anche in questa materia l’impegno della UE per migliorare le procedure è sostanzialmente bloccato, la mancata riforma del Regolamento di Dublino non ha permesso di superare il principio del primo paese di ingresso come paese competente per la trattazione delle richieste di Protezione ed ha incrementato il numero delle espulsioni e dei respingimenti alle frontiere interne dell’Unione Europea, anche a danno dei minori non accompagnati. Inoltre, l’impegno crescente dell’UE e dell’Italia nella direzione dei respingimenti e delle attività di contrasto dell’immigrazione illegale, affidate all’Agenzia europea Frontex ovvero ad accordi bilaterali con paesi extra UE (cfr Turchia, Libia ) i cui standard di rispetto dei diritti Umani sono dubbi o inesistenti (si vedano al riguardo i rapporti di Amnesty International o dell’UNHCR, ufficio ONU per i rifugiati), sono direttamente connessi alle tragedie a cui stiamo assistendo da anni nel Mediterraneo ed alle ripetute violazioni dei diritti umani ed abusi che vengono perpetrate dalle polizie di frontiera lungo la cosiddetta rotta Balcanica (Croazia, Ungheria, Romania e Bulgaria), ai confini sud-orientali della UE.
La realtà delle persecuzioni e dei conflitti
Insomma, viene da chiedersi a chi stia a cuore la sorte di centinaia di migliaia di persona che fuggono da zone del pianeta dove la sicurezza personale e la vita stessa sono precarie ed a rischio a causa di guerre, persecuzioni, povertà estrema; l’azione di tanti cittadini/e e realtà sociali che soccorrono, accolgono, aiutano, tutelano i migranti spesso è ostacolata quanto non criminalizzata da provvedimenti legislativi che hanno il preciso scopo di scoraggiare l’aiuto umanitario (si vedano gli ultimi provvedimenti destinati a limitare l’azione delle ONG dedicate al soccorso in mare) e le azioni di solidarietà. Esperienze positive come quelle portate avanti dal 2016 da Comunità di S. Egidio, Chiesa Valdese e Caritas Italiana sulla base di un Protocollo d’Intesa con il governo italiano per l’ingresso attraversi corridoi umanitari sicuri e protetti di profughi dalle aree di conflitto, sono ancora marginali benché rappresentino un modello che funziona (ad oggi sono state accolte con questo sistema 6018 persone), che favorisce l’integrazione ed è assolutamente replicabile.
La realtà della povertà
Infine, sullo sfondo, la grande questione dell’ingiustizia e della povertà globale, che costituisce il nodo irrisolto attorno al quale si strutturerà la fisionomia della società globale nel prossimo futuro, le migrazioni ne sono solo un effetto. Quando le statistiche affermano che il 20% della popolazione consuma l’80% delle risorse, si tocca il cuore del problema, la povertà diventa un fenomeno strutturale se non si interviene sull’ingiustizia che la provoca. Il tema delle giustizia è il vero tema di fondo per affrontare e leggere gli eventi degli ultimi anni: i conflitti in Afghanistan, in Iraq, in Siria, e in oltre 55 paesi del mondo, nascono all’interno della logica di potere che si determina fra chi detiene le risorse e chi le utilizza o sfrutta. La realtà stessa dei flussi migratori verso l’Europa è strettamente collegata al progressivo impoverimento dei Paesi del Sud del mondo ed all’assenza di una seria politica di cooperazione europea che renda realistico l’obiettivo di una ridistribuzione delle ricchezze, introducendo relazioni internazionali più eque e più giuste, basate sulla pace e sul rispetto dei diritti umani.
Loredana Costa
presidente dell’Associazione dalla parte degli ultimi