“I viaggi della speranza non si trasformino più in viaggi della morte”, Papa Francesco
Mi è stato chiesto di raccogliere una testimonianza da chi direttamente ha vissuto in prima persona la tragedia di Steccato di Cutro. Telefono ad entrambi i parroci che, con voce spezzata, ma ferma, portano una testimonianza di quanto accaduto il 26 febbraio scorso sulle coste calabresi.
Raggiungo telefonicamente sia Don Rosario Morrone che don Pasquale Squillacioti rispettivamente parroci di Botricello e Steccato di Cutro ai quali chiedo:
“Quanto l’ennesimo tragico naufragio ci interroga sulla nostra umanità spezzata e quanto si sia manifestata la nostra umanità solidale?”
Non ha dubbi don Rosario “Quello di Cutro è stato un evento straordinario per persone semplici che si sono messe da subito a disposizione dei fratelli in difficoltà per ospitare i tanti sconosciuti superstiti ed offrire un luogo di riposo eterno per coloro che non ce l’hanno fatta, uomini, donne e tanti bambini. Accogliere nelle cappelle funerarie insieme ai loro affetti più cari tanti sconosciuti è stata la massima manifestazione di amore che ciascuno di loro è stato capace di dare. Portare ogni giorno un fiore anche a perfetti sconosciuti, più sfortunati di noi. Ha significato una grande generosità. Nell’immediatezza dell’evento, coinciso con la prima domenica di Quaresima, le tentazioni di Gesù, quasi un segno, dopo la celebrazione mi sono recato sulla spiaggia. La vista di tante vittime (prima 27, man mano diventate 40 e più), imbustate in teli mi ha posto tre interrogativi.
Il primo a livello sociale. Non siamo più capaci di comprendere l’originaria bellezza per cui siamo stati creati. Non ci chiedono di trasformare le pietre in pane. La società di regge sull’amore, sulla progettualità dell’amore. Ci siamo dimenticati di essere profeti. Non stiamo alzando più la voce, ogni cosa ci coglie indifferenti, giù la testa e zitti.
Il secondo livello sulla religiosità. La religiosità non è miracolistica. Viviamo una comunità fondata sul culto. Dobbiamo, invece, dare la vita per amore, dobbiamo imparare ad amare. Gesù è morto sulla Croce per amore. Smettiamola di chiuderci sulla religiosità ammuffita. Dobbiamo creare una logica di agape, di condivisione da portare anche nelle logiche sociali.
Il terzo livello “politico”. Gesù ha il potere su tutti i beni della terra. Una logica che appartiene anche alle logiche di potere. E noi stiamo zitti. Le persone semplici sono umane, disponibili all’umanità. Il resto fa acqua da tutte le parti, nella religiosità, nella politica. Chi parte impegna ingenti risorse perché è disperato, con la morte a portata di mano, e con la morte sulle spalle. Quando si ascoltano le persone ci sono storie precise, di sofferenza in ognuno di noi. Quando arrivano chiedono, non vogliono stare qui. Vogliono una vita felice, come tutti. Prima accogliamo, poi pensiamo alla gestione. Dobbiamo evitare generalizzazioni. Certamente tutti siamo contro i barconi, contro i trafficanti. È dal 1998 che chiediamo i corridoi umanitari. Rechiamoci sui posti, guardiamo le situazioni disparate e poi li portiamo in modo legale. Un certo signore Marshall, che qualcuno non ricorda o non ha conosciuto, diceva che le persone si aiutano sul posto. In passato anche l’Italia ha beneficiato degli aiuti economici che le hanno consentito di uscire dalle criticità della seconda guerra mondiale. Tutti sfruttano le nazioni, per il profitto, per lo sfruttamento. Non diamo la possibilità di stare bene nei loro posti di origine. L’Africa è una nazione ricchissima, ma sfruttata da vari paesi. Non si creano le condizioni di sviluppo e si lasciano le persone in condizioni disperate. Hanno perso l’ideologia umana. Ti viene voglia di bacchettarli nella politica. Certo non bisogna confondere i piani ideologico ed economico. Un medesimo fatto può avere narrazioni diverse a seconda della posizione di analisi. Uno stato solidale è partecipazione, condivisione, cammino sinodale. I cattolici debbono parlare. Riappropriarsi del ruolo di testimoni. Siamo umani. La grazia suppone la natura. Se non abbiamo umanità neanche Dio riesce a salvarci.”
Quante vite spezzate e quante speranze sono rimaste in quelle acque? Cosa possiamo fare per evitare altre tragedie?
“Tante troppe speranze. Quello che possiamo fare è ripensare la nostra umanità e, come papa Francesco dice, elaborare il concetto che siamo una sola famiglia umana”.
Don Pasquale Squillacioti parroco di Steccato di Cutro: “le risposte che la comunità ha dato sono state tempestive, aiuti silenziosi, concreti, scevri di polemiche. Non si sono cercati i colpevoli. Tutti uniti nel silenzio operoso. Si è percepita una grande comunità ecclesiale e comunitaria. Coloro che partono scappano da tante criticità (guerre, mancanza di democrazia, crisi ambientali), in cerca di una vita migliore. Affidano gli affetti più cari al mare. Una mamma ha seppellito il proprio figlio a Crotone, perché era il luogo in cui avrebbe voluto avere una vita migliore. Il suo desiderio era di vivere come tutti noi. I sopravvissuti sono stati spezzati nelle speranze. Ciascuno di noi deve assumersi le proprie responsabilità. Ho anche scritto una lettera privata a papa Francesco chiedendogli di pregare. Tanto cammino deve ancora fare l’Italia per superare la sua mentalità settoriale che non fa bene alle comunità”.
Silvana Maglione