L'ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE D'ITALIA

25 APRILE 2023: L’ITALIA È LIBERA?

Ha fatto nei giorni scorsi e fa ancora oggi discutere la rissosa, consapevole affermazione del presidente del Senato, il senatore FdI, Ignazio La Russa, secondo cui la parola “antifascismo” non è scritta nel testo della nostra Carta Costituzionale. Ma il presidente provocatoriamente finge di dimenticare che sotto altro sintagma il significato ed il valore dell’antifascismo sono chiaramente indicati. Infatti, nelle “Disposizioni transitorie e finali” della C.C., al punto XII, così troviamo annotato:” E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. (…)”. Quindi, se c’è divieto di riorganizzare un partito fascista, va da sé che l’impianto complessivo della nostra Costituzione è di natura antifascista, democratica e repubblicana. Come pure non ha senso una  ulteriore dichiarazione del presidente del Senato, quando sostiene che i valori dell’antifascismo apparterrebbero esclusivamente ai partiti della sinistra che hanno partecipato alla stesura della Carta Costituzionale, e cioè, in buona sostanza, al PCI e al PSI. Anche in questo caso il presidente del Senato dimentica che a stilare la Costituzione hanno preso parte anche altri importanti partiti, che poi hanno contraddistinto la cosiddetta Prima Repubblica. Come pure il presidente del Senato  finge di ignorare che la massima parte della società civile italiana è dichiaratamente antifascista. Ora prima di calarci nell’ambito del valore culturale e politico del 25 Aprile, corre l’obbligo di fermarci, pur se per poco, su quel momento storico, caratterizzato dalla scelta e dalla decisione di contrastare con le armi i nazifascisti. Un primo elemento, su cui dobbiamo soffermarci per comprendere appieno il senso valoriale/etico, come pure quello necessariamente politico, del 25 Aprile è cosa sia stata e cosa abbia rappresentato la Resistenza antifascista che si è opposta al regime mussoliniano e a quello nazista, invasore.

La storiografia sulla Resistenza è davvero vasta e contiene, come affermano molti storici, lavori di un elevato spessore culturale ed etico insieme. Nello stesso tempo c’è da dire che la complessa e delicata opera di rinnovamento degli studi sulla Resistenza è ancora abbastanza lontana  dal poter sostenere  che essa sia conclusa, anche alla luce di quel processo di revisionismo e di negazionismo al quale assistiamo, quasi tutti i giorni, e che viene svolto da settori della destra nazionale, di cui fa parte La Russa, le cui infelici espressioni di questi ultimi tempi, accompagnate anche da altri suoi sodali (ministri e parlamentari) stanno lì a dimostrarlo. Ma la Resistenza, che si è poi conclusa con la liberazione dell’Italia dai nazifascisti – il 25 aprile 1945 -, e che è stata una forma di lotta cruenta, terribile, dolorosa, ha coinvolto tutto il popolo o solamente una sua frazione? E, poi, tutta la penisola o semplicemente una parte, anche se cospicua, dell’Italia? La Resistenza ha interessato precipuamente l’Italia centro/settentrionale e di meno l’Italia meridionale, che si è liberata sostanzialmente in maniera autonoma, appena dopo l’8 settembre 1943 e di cui la parte più rilevante da ricordare, e gloriosa nello stesso tempo,  sono le famose giornate di Napoli. Sappiamo bene che i lunghi mesi (quasi due anni) della lotta partigiana sono apparsi davvero molti duri. E, dunque, come possiamo dimenticare i massicci rastrellamenti tedeschi, le rappresaglie più feroci e spietate contro la popolazione civile, per esempio quella nel comune emiliano di Marzabotto con 1800 morti; o quella che è stata definita la prima memoria scritta della Shoah italiana, “16 ottobre 1943”,  del più grande critico letterario italiano del Novecento, cioè Giacomo Debenedetti, testo che descrive la retata nazista nel Ghetto di Roma dove in pochissime ore le SS del maggiore Kappler rastrellarono più di 1000 ebrei italiani che furono deportati nei campi di concentramento e di sterminio tedeschi?. Come pure da ricordare per la sua efferatezza l’eccidio dei 335 antifascisti italiani alle Fosse Ardeatine a Roma, come reazione all’attentato della resistenza romana che costò la vita a 32 soldati tedeschi? Il poeta ermetico Salvatore Quasimodo nella sua poesia “Alle fronde dei salici” ( in “Giorno dopo giorno”, 1947) rievoca questi tragici momenti del secondo conflitto mondiale e le vittime innocenti della violenza di tutti i conflitti armati che solo morte, distruzione, infelicità inguaribili provocano: “E come potevamo noi cantare/ con il piede straniero sopra il cuore,/ fra i morti abbandonati nelle piazze/ sull’erba dura di ghiaccio,al lamento/ d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero/ della madre che andava incontro al figlio/ crocifisso sul palo del telegrafo?/ Alle fronde dei salici, per voto,/ anche le nostre cetre erano appese,/ oscillavano lievi al triste vento”.

Dicevamo prima che la Resistenza si è sviluppata sostanzialmente nel centro/nord d’Italia negli ambiti del proletariato industriale (ma non solo, e comunque abdico ad un ulteriore approfondimento in questa direzione per questioni di sintesi). Infatti, il proletariato industriale  delle fabbriche FIAT di Torino ha mantenuto anche sotto il fascismo l’orientamento socialista e comunista che l’organizzazione capillare del PCI torinese – e nazionale anche –  è riuscita ad alimentare, cosa che esprimeva la massiccia presenza e la forte organizzazione  del partito tra i lavoratori. Tanto è vero che la conferma di tale rigorosa organizzazione è espressa in una frase che il filosofo comunista Ludovico Geymonat sembra che abbia detto ai rappresentanti dell’opposizione liberal-monarchica: “Indicatemi un giorno e vi faremo sospendere il lavoro in tutte le fabbriche di Torino, di Genova, di Milano” ( Gastone. Manacorda, “Il socialismo nella storia d’Italia”, vol.II).

Ma oggi a noi, cittadine/i responsabili e partecipi della polis, cosa indica rigorosamente o impone in un certo qual modo il 25 Aprile, che torna ad alimentare il ricordo della Liberazione d’Italia dall’asse nazifascista? Quale indicazione ci suggerisce?

Oggi noi – in Italia, in Europa, in tutto il mondo –  siamo oppressi da una dittatura molto pericolosa e fatale, anche se differente da quella cha ha rappresentato il nazifascismo, perché si imbelletta come una suadente figura tra il maschile ed il femminile e, a differenza dei dispotismi intolleranti e degli spietati totalitarismi sanguinari che abbiamo conosciuto negli ultimi due secoli, questa dittatura, dicevamo, si presenta offrendo in apparenza mondi suasivi, che, oltre al corpo, corrodono soprattutto le menti. Sono il libero mercato e la finanza internazionale che si sono impossessati allo stato attuale di gran parte del mondo, imponendo il pensiero unico, quello per il quale l’Occidente e il nord del mondo sarebbero i mondi migliori; come pure accelerando con consumi smodati delle risorse energetiche della Terra e con i conflitti armati in tutte le parti del Pianeta prima il degrado e poi la sua distruzione, che si accompagnano alla scomparsa della vita di tutte le specie viventi. “ (…) oggi l’umanità deve tornare a valorizzare le differenze, farne tesoro, usarle come base per l’elaborazione di un nuovo umanesimo plurale. Il mondo, infatti, è cambiato radicalmente  e la piccola biodiversità culturale che si poteva respirare in una cittadina del nord Italia  durante il boom economico è stata rimpiazzata da un accesso senza precedenti all’infinita  varietà dell’umanità e delle sue culture, con modi di vivere profondamente differenti, approcci alla vita , alla convivenza e alla spiritualità estremamente diversi dal nostro. Eppure questo patrimonio inestimabile è costantemente minacciato e rischia di scomparire sotto i nostri occhi, fagocitato da una globalizzazione che non conosce limiti (…) Il modello di sviluppo turbocapitalista occidentale, infatti, non si è limitato allo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali; al contrario, ha imposto un modello di civiltà e socialità monocromatico, che ha progressivamente marginalizzato e penalizzato tutto ciò che non vi si conformava completamente  (…)”. (Carlo Petrini, “Terrafutura – Dialoghi con papa Francesco sull’ecologia integrale”,Ediz. Giunti/Slow Food , Mi/Fi,  2020).

Questo è l’imperativo kantiano al quale dobbiamo rendere conto delle nostre scelte e del nostro impegno civile, politico, culturale per un mondo radicalmente contrapposto a quello attuale.

Franco Novelli