L’IMPERIOSA PRESENZA DELLA GUERRA

VARI SIGNIFICATI DELLA PACE

Una società può attraversare crisi periodiche per molte ragioni. Una di queste è l’imperiosa presenza della guerra, che mette a dura prova i fondamentali valori in cui crediamo. Una delle grandi prove che la civiltà “occidentale” sta subendo in questi ultimi tempi riguarda i valori della democrazia. Ci siamo accorti che essa non è gratis, e non è per sempre. Come tutti gli aspetti della realtà che ci circonda, anche la democrazia si deteriora, se lasciata nella più totale incuria.

In un tale contesto dobbiamo inserire i concetti di pace e di guerra. Dal punto di vista valoriale, è chiaro che nessuno può essere favorevole alla guerra, una dimensione che cancella i valori della coesistenza internazionale. Ma considerando la guerra come fenomeno politologico, ci rendiamo conto che essa è ineliminabile, una realtà consustanziale alle società umane. Per cui la vera questione non è mettere fuori legge la guerra (si tentò di farlo anche negli anni Venti, con i risultati che sappiamo), ma di assicurare la pace dopo ogni guerra.

Se consideriamo anche la pace come fenomeno politologico, ci accorgiamo dei suoi possibili aspetti negativi. La pace non è semplicemente, silenzio delle armi, indipendentemente dal ripristino della giustizia. Il filosofo Immanuel Kant intitolò il suo celebre saggio Zum ewigen Frieden. Alla pace perpetua, era il nome di una locanda frequentata da Kant, che si trovava nei pressi di un cimitero. Con grande senso di humour, Kant scelse questo titolo per il suo libretto del 1795 in cui suggeriva ai suoi contemporanei di sostituire la guerra con il diritto. Che non è il diritto del più forte; perché la pace ottenuta senza giustizia e senza diritto, semplicemente facendo prevalere il diritto del più forte è, appunto, “la pace dei cimiteri”. Non a caso, una delle più brillanti e recenti analisi dello scritto di Kant s’intitola Alla pace del cimitero: un libro di Marco Duichin, edito dall’Università degli Studi di Firenze.

Premesso dunque che tutti desideriamo la pace, la scelta da compiere si restringe a due campi: pace a tutti i costi, o pace con giustizia? È la pace ottenuta a ogni costo, con tutti i mezzi possibili, leciti o illeciti; o è la pace con diritto e giustizia, da garantire quindi impedendo che il prepotente prevalga, e che possa in futuro ripetere i suoi illeciti?

Si comprende quindi perché studiosi, accademici e teorici sono in crisi: gli eventi del mondo sconvolgono le loro teorie sulla pace e sulla guerra, perché la realtà è più creativa delle loro analisi. Essi riflettono sulla pace e sulla guerra, per poi trovarsi dinanzi a un’inedita terza categoria: quella dell’«operazione militare speciale».

Nessuna teoria, presa in sé, è in grado di impedire la guerra e la conflittualità internazionale. Se si cerca un antidoto ai conflitti, non lo si troverà di certo nella speculazione accademica. C’è poi qualcosa di nuovo anzi d’antico, in ogni guerra. Vladimir Putin ha scatenato una guerra di distruzione culturale, oltre che una guerra “territoriale”. Ha scatenato una guerra per cancellare una nazione, l’Ucraina, che per lui non è mai esistita, e che non esiste; una guerra per cancellare una memoria storica che era il tessuto connettivo di una giovane società civile, quella ucraina, che da tempo non si riconosceva più nella nazione russa, se non in una fratellanza di origini.

In un tale contesto, che significato dobbiamo attribuire alle voci su un “cessate il fuoco”? La nozione va inquadrata politologicamente, e non in base agli umanissimi desideri che ispirano i nostri pensieri. Ci sono moltissime ragioni per cui un “cessate il fuoco” può rivelarsi qualcosa di immaginario. Una di queste è la mancanza di volontà delle parti. Nel caso attuale, le due parti sono in posizione asimmetrica: una di esse è l’aggressore, l’altro è l’aggredito; una distinzione sancita dalla carta dell’ONU.

Per attuare un “cessate il fuoco”, mancano poi quelle condizioni preventive che ogni analista considera essenziali: a) cessazione delle ostilità; b) separazione territoriale delle forze che si combattono; c) monitoraggio e supervisione delle prime due condizioni da parte di un soggetto terzo al di sopra delle parti. Si aggiunga a tutto questo che ciascuna delle parti in causa può avere una concezione “sartoriale” del “cessate il fuoco”: ossia cucita esclusivamente in base alle proprie esigenze strategiche, piuttosto che finalizzata alla durata della tregua. Bizzarramente, quindi, molto spesso il “cessate il fuoco” è uno strumento che si tenta di adattare alla concezione di guerra che ciascuna delle parti ha in mente.

A questo punto, dovremmo chiederci: qual è la concezione di guerra di Putin? Qual è quella degli ucraini? Da ciò dipende la “qualità” di un eventuale “cessate il fuoco”, e la sua utilità. Paradossalmente, allo stato attuale delle cose, è più “economico” per ciascuna delle parti esporre il proprio concetto di pace continuando a combattere, che non cercando un “cessate il fuoco” che comporta costi, rischi e responsabilità di ordine tecnico, politico, legale e geografico. E poi, dicevamo, un “cessate il fuoco” comporta l’intromissione seria e condivisa di un ente al di sopra delle parti, che sia in grado di farlo rispettare.

Ci siamo soffermati su questi temi per dare un’idea della loro estrema complessità. Nel 2022, l’Indice della pace globale, misurato annualmente dagli addetti ai lavori, è sceso dello 0,3%; è l’undicesimo peggioramento negli ultimi quattordici anni. Nel mondo, 90 Paesi hanno migliorato la loro performance; 71 l’hanno peggiorata; uno solo è rimasto stabile. Dal 2008, l’Islanda è il Paese più pacifico del mondo, seguita da Nuova Zelanda, Danimarca ed Austria. L’Afghanistan è il meno pacifico, seguito da Yemen, Siria, Russia e Sud Sudan, Paesi che da quattro anni sono nella “lista nera” dell’instabilità internazionale.

Tutto il mondo oggi è meno pacifico, da quando queste analisi statistiche sono iniziate. Ma questo quadro instabile è acuito dalle nostre scarse conoscenze e dal diffuso mancato interesse a questi temi.

Matteo Luigi Napolitano