L’impatto col sepolcro aperto rappresenta lo snodo fondamentale del nostro credere cristiano. Nel segno della tomba vuota c’è chi si lascia paralizzare dalla paura. C’è chi si lascia inabissare dallo sconforto e resta chiuso nel dolore, nell’assenza. C’è chi freme di commozione. C’è chi corre a vedere. C’è chi non si dà pace, finché non rivede Colui che è sceso nella valle della morte. C’è chi si ferma, in silenzio, e lacrima davanti al telo di lino bianco, col quale era stato avvolto il corpo del Signore, una volta deposto dalla croce. C’è chi ha ripreso a respirare. Ed ecco lo squarcio di luce. Colui che è la Vita ora avanza oltre le ombre della fine ed entra con tutto il suo splendore nella ricerca di coloro che lo attendono. Dalla Risurrezione, nel contesto biblico, abbiamo imparato tre parole che richiamano la dimensione piena della vita: alzarsi, sorgere, tornare. Sono verbi che rilanciano la vita in avanti, ancora più coraggiosa, più intensa.
Era sera. Erano a porte chiuse. Insieme, sì, ma radunati attorno al focolare spento del timore e dell’incertezza. Presso i discepoli, presso il loro sgomento, ecco procedere Gesù. Immagine potente quando poi, una volta tornato, si ferma in mezzo a loro. Gesù è di nuovo lì, con loro, a placare il loro cuore, per mostrarsi compiutamente come la Promessa Vivente della Misericordia di Dio. Dando a loro la Pace, mostra le mani e il costato, per dire che la Risurrezione è l’Amore che s’imprime nella carne come eternità. E i discepoli gioiscono nel vedere il Signore. La tristezza è cambiata in gioia. La teofania ultima. Dio che si rivela nella storia dell’umana, accompagnandola. Nessuno ha portato via il Signore. Nessuno può farlo! Ma tocca a ciascuno rimuovere la pietra dal sepolcro per non restare al buio. Non si può intendere il mistero pasquale, se non si decifra la strada della nuova creazione nelle ferite di Gesù, nei segni della Croce. Con la Sua Risurrezione è iniziato il tempo della decisione, della scelta. O la Vita in Lui e con Lui. O la morte all’infuori di Lui.
Ylenia Fiorenza
Io che sono vicina alla morte,
io che sono lontana dalla morte,
io che ho trovato un solco di fiori
che ho chiamato vita
perché mi ha sorpreso,
enormemente sorpreso
che da una riva all’altra
di disperazione e passione
ci fosse un uomo chiamato Gesù.
Io che l’ho seguito senza mai parlare
e sono diventata una discepola
dell’attesa del pianto,
io ti posso parlare di lui.
Io lo conosco:
ha riempito le mie notti con frastuoni orrendi,
ha accarezzato le mie viscere,
imbiancato i miei capelli per lo stupore.
Mi ha resa giovane e vecchia
a seconda delle stagioni,
mi ha fatta fiorire e morire
un’infinità di volte.
Ma io so che mi ama
e ti dirò, anche se tu non credi,
che si preannuncia sempre
con una grande frescura in tutte le membra
come se tu ricominciassi a vivere
e vedessi il mondo per la prima volta.
E questa è la fede, e questo è Lui,
che ti cerca per ogni dove
anche quando tu ti nascondi
per non farti vedere.
Alda Merini (da Corpo d’amore)