Innovare o conservare, Km 0 o contaminazioni di culture globali, modello vegano o onnivoro, proteine animali o alternative; questi sono gli interrogativi che alimentano dibattiti e confronti sino ad arrivare a contrapposizioni, raccolte firme e interventi legislativi che rallentano e distraggono il percorso della conoscenza necessario all’evoluzione del sistema agro-alimentare il cui mutamento è strettamente connesso a quello dell’umanità. Nei secoli, l’incremento della popolazione mondiale ha determinato l’addomesticamento di nuove colture, la coltivazione di nuove aree e lo sviluppo di tecnologie tracciando la storia dell’uomo e delle culture alimentari.
Oggi, alla luce del superamento del traguardo di 8 miliardi di abitanti con il diritto a una sana alimentazione, è necessaria una profonda innovazione. L’attuale sistema agro-alimentare, anacronistico, scarsamente sostenibile e profondamente iniquo, è il principale responsabile dei paradossi del XXI secolo, quali la distribuzione e la gestione del cibo. Il primo divide il pianeta in due fette: da un lato le aree geografiche ricche con un’alimentazione eccedentaria e una preoccupante percentuale di obesità, dall’altro, zone geografiche dove il diritto al cibo è negato per oltre un miliardo di persone. Il secondo evidenzia una forte pressione sul pianeta per la produzione di alimenti che, al contempo, vengono sprecati e cestinati prima di raggiungere le tavole dei consumatori.
I due paradossi e la consapevolezza che gli 8 miliardi di persone non sono i soli e non saranno gli ultimi abitanti del pianeta impone che la sfida di “produrre meglio” non è rinviabile. Le nuove biotecnologie offrono un contributo al raggiungimento dell’ambiziosa sfida di produrre cibo sano e sicuro per tutti. Le conoscenze raggiunte rendono sempre più vicina la possibilità di produrre alimenti a base di proteine (vegetali, da insetti o da cellule coltivate) alternative a quelle convenzionali di origine animale. I prodotti a base di proteine vegetali, da alternativa poco convincente, sono divenuti un analogo indistinguibile rispetto a quello emulato. Permane, però, la necessità di ottimizzare le tecnologie che, se basate su proteine meno lavorate, sono in linea con i requisiti di etichetta pulita e dei cibi minimamente processati ma non soddisfano pienamente le esperienze di consumo; al contrario, se prevedono la completa trasformazione della struttura proteica offrono prodotti soddisfacenti per la reologia ma non pienamente rispondenti ai requisiti di salubrità in quanto altamente processati. Promettenti sono i prodotti a base di proteine da lieviti che, coltivati in bioreattore, rilasciano proteine già simili a quelle dei prodotti convenzionali senza richiedere eccessive manipolazioni.
I prodotti più discussi sono quelli, erroneamente definiti sintetici, a base di proteine da cellule staminali coltivate in bioreattore. Ad oggi, sono un prototipo tangibile ma per divenire un alimento accettato dai consumatori necessitano di ulteriori innovazioni per migliorarne l’economicità e la salubrità.
Le tecnologie menzionate, pur rappresentando i cardini intorno a cui far ruotare la progettazione del nuovo sistema alimentare, calamitano reazioni avverse e comunicazioni propagandistiche che sfociano in allarmismi e disinformazione etichettando gli analoghi come “sintetici”, “degenerati” o di “Frankestein” sino ad associarli al pericolo di radiazioni nucleari.
Sicuramente l’obiettivo dei contestatori delle nuove tecnologie è quello di conservare esperienze come quelle del Km 0 o della custodia del tradizionale; modelli accattivanti ma che poco si conciliano con la domanda globale permanendo una risposta di nicchia all’egoismo occidentale discriminando i più e i più poveri del mondo. Fortunatamente, però, la ricerca, libera da emotività propagandistica, pur tutelando il patrimonio alimentare convenzionale, prosegue nella produzione di nuove conoscenze per la transizione e l’ammodernamento del sistema agroalimentare.
Patrizio Tremonte
Prof. Microbiologia Alimentare – Università degli Studi del Molise