Lettera di Giuseppe Ungaretti
Non mi è stata mai perdonata la mia adesione al fascismo, tanto che, nonostante i premi, nessuna autorità di governo ha voluto presenziare ai miei funerali. Questo potrebbe risultare secondario e comprensibile se per lo stesso pregiudizio non si fosse disperso il senso profondo di alcune mie liriche dedicate alla Grande Guerra, che mi ha visto protagonista come volontario. Le cito appunto sottolineando che lo strazio che vi ho rappresentato è riferito non solo patriotticamente ai miei compagni di trincea ma anche umanamente e universalmente a chi stava dall’altra parte. I fratelli di cui si parla siamo tutti i combattenti di entrambi i fronti, perché la guerra che scelsi di vivere in maniera che oggi giudico insensata fu poi appunto una realtà devastante sul campo.
VEGLIA
Un’intera nottata/ buttato vicino/ a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca digrignata/ volta al plenilunio/ con la congestione/ delle sue mani/ penetrata/ nel mio silenzio/ ho scritto lettere piene d’amore/ Non sono mai stato/ tanto attaccato alla vita (Cima Quattro i l 23 dicembre 1915).
SAN MARTINO DEL CARSO
Di queste case/ non è rimasto/ che qualche/ brandello di muro/ Di tanti/ che mi corrispondevano/ non è rimasto/ neppure tanto/ Ma nel cuore/ nessuna croce manca/ E’ il mio cuore il paese più straziato (Valloncello dell’albero isolato, 27 agosto 1916).
FRATELLI
Di che reggimento siete/ fratelli?/ Parola tremante/ nella notte/ Foglia appena nata/ Nell’aria spasimante/ involontaria rivolta/ dell’uomo presente alla sua/ fragilità/ Fratelli (Mariano il 15 luglio 1916).
SONO UNA CREATURA
Come questa pietra/ del S.Michele/ così fredda/ così dura/ così prosciugata/ così refrattaria/ così totalmente disanimata/ Come questa pietra/ è il mio pianto/ che non si vede/ La morte/ si sconta/ vivendo (Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916).
SOLDATI
Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie (Bosco di Courton luglio 1918).
Questa la mia testimonianza della reale condizione di ogni guerra, una fotografia che poteva dare solo chi l’aveva vissuta sulla propria pelle. Mi conforta che intere generazioni abbiano potuto apprendere dai miei versi un messaggio di rifiuto della più indegna brutalità dell’uomo.
Ora voi discutete in comode poltrone di conflitto in Ucraina senza intendere la tragedia dei soldati chiamati a rispettare gli ordini di devastazione, di se stessi e degli altri. E senza ammettere che per otto anni, a poche centinaia di chilometri da Bruxelles, uno scempio della precedente serenità di vita generato dal demone dell’odio chiamava a un intervento tempestivo di pace, non a una semplificatoria scelta di campo, con sanzioni che non rispettavano la realtà dei fatti. Ho messo insieme il Serchio, il Nilo, la Senna e l’Isonzo in un percorso che mi ha rivelato come docile fibra dell’universo, ma anche risoluto difensore della vita contro la precarietà che ci si destina o ci si sceglie. Su questa scelta che avete adottato da qualche tempo vi richiamo ad essere consapevoli e padroni del vostro destino, perseguendo la pace.
Giuseppe Ungaretti
Una “corolla di tenebre” pare la vita al nostro poeta negli ultimi versi dei “Fiumi”. Un’ immagine che, interpretata oggi, si addice al contrasto fra il fiore dell’illusoria difesa di un diritto violato e il lutto di una contesa tragica. Ci ricorda cioè che abbiamo rivestito di nobili propositi una missione di guerra senza quartiere, contravvenendo agli scopi per cui è nata l’Unione Europea.
Anche Ungaretti fu tradito nei suoi ideali di difesa della patria quando divenne interventista, partì volontario e dovette costatare che grandi interessi mandavano al macello giovani esistenze come la sua. Sulle cime del Carso si è consumata un’immane tragedia senza senso, ormai paragonabile ai tanti attuali teatri di intervento militare osservati dai corrispondenti di tutto il mondo, attenti a distinguere e spaccare il capello delle responsabilità, ma meno concentrati sulle sofferenze di tutti gli attori in gioco: i soldati di Zelensky, quelli di Putin, le popolazioni ucraine di lingua ucraina, quelle ucraine di lingua russa e quelle russe che vivevano in Ucraina, tutti sotto lo stesso inferno di bombe.
La “corolla” della propaganda e le “tenebre” di una devastazione che richiederà decenni di fatiche e di dolori per la ricostruzione materiale e morale dei luoghi e delle persone, degli affetti e della convivenza, della fiducia reciproca e della comprensione umana.
Roberto Sacchetti