EDITORIALE

L’USIGNOLO NELLA NOTTE

Opera di Christian Schloe, un artista austriaco

 

In queste notti di fine aprile è dolcissimo ascoltare il canto meraviglioso dell’Usignolo. È un uccello incantevole, nel suo gorgheggiare inatteso.  Ma stupisce la sua tenacia e costanza. Lo ascolto con delizia, anche dalla mia nuova dimora nel cuore della periferia cittadina, in un boschetto lungo la via di Monte san Gabriele, da cui guardo con affetto tutta la nostra città, pregando per essa, ogni sera, in una benedizione fraterna e amabile.

Quel canto stupisce. Nessuno lo sente, nessuno lo ascolta. Eppure lui, l’uccello dall’ugola d’oro, canta ugualmente. Non gli importa della risonanza che ha il suo dono. Lo offre, gratis. In pienezza di gioia condivisa. Anzi, tiene sveglio il nostro cuore, con la sua voce squillante e gioiosa. È veramente l’immagine della gratuità, cioè di chi alza la voce al di là del calcolo o dell’ambizione di essere ascoltato. Lo fa per amore, per dono, per ebbrezza di condivisione.

Il canto nella notte, di Maria di Magdala

Per questo, mi pare bello, nella preghiera, poterlo paragonare alla voce di Maria di Magdala, che si fa icona di speranza, in questo tempo di Pasqua. Lei di notte ascolta il suo cantico di amore, che la tiene sveglia e la spinge, con sollecitudine, mentre tutto è ancora avvolto nel buio della notte, alla tomba del Cristo, per piangere ed ungerne il corpo, martoriato per amore. Due angeli, in bianche vesti, la interrogano su questa sua gratuita presenza: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. (Gv 20,15) E Maria, di fronte al Risorto, esplode nel grido, simile alla voce dell’Usignolo nella notte: “Rabbuni, Maestro!”. L’amore ha sempre una voce d’amore, che squarcia la notte e si fa grido di ricerca. E Maria, svelta e trepidante, corre allora a svegliare i discepoli, Pietro e Giovanni, che, con lei, corrono verso il sepolcro vuoto, a velocità differenti ma con la stessa angoscia nel cuore, perché temono che una mano nemica abbia portato via il Signore! Maria si fa così Apostola degli apostoli! Perché l’amore ha sempre il suo canto, un grido di ricerca nella gratuità del mattino. Quel canto che supera ogni nostro calcolo. Come il canto dell’usignolo! E ci dice che tutto può cambiare, che non ci sono ostacoli che possano frenare l’amore, nella certezza di poter cercare l’amato, piangere per la sua assenza e tornare ad amare.

Il canto nella notte, di papa Francesco

Anche la voce di papa Francesco, in questi mesi, possiamo paragonarla alla voce dell’Usignolo, che canta da solo, nella notte, anche se nessuno l’ascolta! Canta per invocare la pace. Canto di speranza, anche se solitario.

Canta per invocare un’altra logica; non quella della brutale contrapposizione frontale, colpo su colpo; ma quella della trattativa e della “bandiera bianca” che tu sventoli, solo perché tu hai fiducia nell’altro, anche se ti ha aggredito.

Forse non ti ascolterà mai! Ma tu confidi comunque nel suo cuore di umanità. E non ti importa se vieni ascoltato.

Papa Francesco canta ed effonde il suo grido d’amore, riempendo di speranza e di luce anche queste orribili notti di distruzione e di violenza, per Gaza e per Kiev, per la Palestina e per la martoriata Ucraina. È certo arduo prestare ascolto a quel suo cantico di fiducia reciproca, la sola voce che può riempire di luce la nostra notte di dolore. Come il canto dell’usignolo nella notte di fine aprile!

L’abbiamo incontrato questo papa Francesco, in udienza, nella recente visita ad Limina, il 5 aprile. Ci è sembrato tanto cordiale, interessato e compartecipe delle nostre realtà locali. Pieno di esortazioni ben indovinate, ricche di esperienza personale e mondiale. Crede molto nella Risurrezione, come ci ha dimostrato anche nel dono di una artistica immaginetta di Cristo Risorto, con un bel dipinto del Perugino che ci ha consegnato, in sollemnitate Paschali, con la eloquente scritta: “Surrexit Pastor bonus, qui, pro grege suo, mori dignatus est. Alleluia!”. Unisce così la sua voce alla voce innamorata di Maria di Magdala, che grida al mondo: “Ho visto il Signore!. Ed è per questa sua fede che il Papa è capace di alzare la voce e gridare al mondo la pace, la pace del Risorto, ad un mondo che non crede alla pace, perché non crede più alla Risurrezione, come fecero i sapientoni di Atene, di fronte a Paolo: “Su questo punto, ti ascolteremo domani!” (Atti 17, 32).

La voce del Papa punta sulla dignità di ogni persona, anzi su una Dignitas infinita, come ben espresso nell’atteso documento del Dicastero per la dottrina della Fede. Una voce nella notte del mondo, proprio come la voce dolce dell’usignolo, in queste notti.

Così è questo documento, che avremo modo di commentare, già in questo numero. In una riflessione puntuale e intensa.

Gli spazi dove siamo chiamati a difendere tale nostra dignità sono molteplici. Tutti attuali, proprio per la drammaticità delle situazioni quotidiane. Come a Suviana, nella centrale dove un inatteso dramma ha travolto un gruppo ben preparato di lavoratori, impegnati in un lavoro di manutenzione ordinaria. Ma non è mai abbastanza la prudenza, che va unita sempre alla intelligenza, specie quando sembra che tutto sia facile e scontato. Cioè, quella prudenza ed attenzione che devono avere i nostri trattori, sui pendii ripidi e bagnati delle colline Molisane.

Proprio per questa dignità inviolabile, riconosciuta e non concessa, è stato profetico il gesto fatto a maggio scorso, nella dedicazione della Chiesa della Confraternita mariana, in Pietracatella. È diventata un tempio commovente, per ricordare tutte le vittime sul lavoro, di ogni ambiente e in ogni luogo. È stato come ridare dignità a chi è caduto sotto il peso della fatica lavorativa.

Entra anche nelle scuole, questo documento vaticano, riportando luce su un fenomeno che inceppa tanti nostri adolescenti, davanti alla definizione della loro sofferta identità sessuale. Vanno infatti accompagnati da adulti limpidi, per maturare con chiarezza la loro identità, “perché ogni persona umana, soltanto quando può riconoscere ed accettare questa differenza nella reciprocità, diventa capace di scoprire pienamente se stessa, la propria dignità e la propria identità!”(n. 59).

Concludendo….

L’usignolo canta sempre nella notte. Sempre, al di là di chi lo ascolta. Lo fa con gratuità. Lo stesso fa Maria di Magdala, con gli Apostoli.

Ed è la stessa voce di papa Francesco, che si eleva nelle nostre notti, per invocare la pace. Come la voce di Gesù, il bel Pastore che accompagna le sue pecorelle ai pascoli della vita, in luoghi sicuri di bellezza e di amore.

Quella voce di Pastore viene riconosciuta dalle sue pecorelle, come ci narra la prossima domenica IV di Pasqua, dedicata alla sequela del buon Pastore, immagine di tanti giovani che, in ascolto di quella voce, entrano in Seminario, sorretti anche dalla nostra preghiera reciproca.

Mi piace raccogliere la nostra riflessione con la voce di sant’Anselmo, nativo di Aosta (1033-1109) ma fatto vescovo in Inghilterra, a Canterbury, che scrive una sofferta preghiera, nel suo famoso Proslogion, al capitolo 14, eco del suo duplice esilio per motivi politici: “O Dio verace, fa che io riceva te, perché la mia gioia sia piena e mediti te la mia mente e parli la mia lingua di te. Ne abbia fame la mia anima e sete la mia carne. Ti desideri tutto il mio essere, fino a quando io non entri nella gioia del mio Signore, che è Dio, uno e trino, benedetto nei secoli!”.

Amen.

Campobasso, 21 aprile 2024,

festa di sant’Anselmo

+ padre GianCarlo Bregantini, Vescovo emerito