Quella del 14 giugno 2024 è una data che resterà scolpita nella storia della Chiesa: per la prima volta, infatti, un Pontefice ha parlato davanti ai grandi del mondo, intervenendo ad una delle sessioni del G7 tenutosi a Borgo Egnazia, in Puglia. Papa Francesco ha parlato di intelligenza artificiale, come era previsto, ma anche di guerra (o meglio: di pace), con una connessione senza vie di fuga dalla tecnocrazia esasperata e dalla corsa al riarmo. Perché in ogni contesto va ribadito il primato dell’uomo, ha argomentato senza mezzi termini il pontefice argentino, soprattutto se si tratta per l’appunto di armi: «Nessuna macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita ad una persona», ha tuonato il pontefice in uno dei passaggi più forti del suo intervento, poi consegnato in una versione ancora più lunga ed approfondita ai leader mondiali riuniti in Italia. Il pensiero di Bergoglio – e dunque l’azione della Chiesa che è già “scattata” nel concreto di queste parole – è perentorio, pur ovviamente come sempre nell’apertura al dialogo, e riassumibile in due punti: bisogna restare umani, senza delegare alle macchine quello che è il futuro dell’umanità; a guidare le trasformazioni in atto deve esserci una visione etica, unitamente al primato della sana e buona politica, per raccogliere quelle che sono le sfide ma anche le pericolose eventuali deviazioni dell’intelligenza artificiale. «L’umanità è senza speranza se dipenderà dalla scelta delle macchine», ha rimarcato il Papa, pensando proprio a quello che rischia di essere un utilizzo dell’intelligenza artificiale anche per aumentare la dose già straripante di guerre nel mondo: «In un dramma come quello dei conflitti armati è urgente ripensare lo sviluppo e l’utilizzo di dispositivi come le cosiddette ‘armi letali autonome’ per bandirne l’uso, cominciando già da un impegno fattivo e concreto per introdurre un sempre maggiore e significativo controllo umano. Nessuna macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita ad un essere umano». Parole che hanno fatto breccia tra gli ospiti del G7, come hanno palesato i volti dei grandi della Terra passati in tv: dalla premier italiana Giorgia Meloni al presidente americano Biden, da quello francese Macron all’indiamo Modi, dal re di Giordania Hussein al connazionale presidente argentino Milei, papa Francesco ha raccolto un’attenzione niente affatto formale, grazie anche all’affabilità che il pontefice ha mostrato prima e dopo il suo intervento, per mettere tutti a loro agio davanti a parole e concetti di estrema importanza. Ma torniamo alle parole del pontefice: «Quando i nostri antenati affilarono delle pietre di selce per costruire dei coltelli, li usarono sia per tagliare il pellame per i vestiti sia per uccidersi gli uni gli altri. Lo stesso si potrebbe dire di altre tecnologie molto più avanzate, quali l’energia prodotta dalla fusione degli atomi come avviene sul Sole, che potrebbe essere utilizzata certamente per produrre energia pulita e rinnovabile ma anche per ridurre il nostro pianeta in un cumulo di cenere. L’intelligenza artificiale, però, è uno strumento ancora più complesso. Direi quasi che si tratta di uno strumento sui generis. Così, mentre l’uso di un utensile semplice (come il coltello) è sotto il controllo dell’essere umano che lo utilizza e solo da quest’ultimo dipende un suo buon uso, l’intelligenza artificiale, invece, può adattarsi autonomamente al compito che le viene assegnato e, se progettata con questa modalità, operare scelte indipendenti dall’essere umano per raggiungere l’obiettivo prefissato».
L’intelligenza artificiale va dunque governata. E soprattutto va contrassegnata con il marchio dell’etica, un tema questo che il pontefice ha sottolineato più volte, come in questo passaggio: «Si registra come uno smarrimento o quantomeno un’eclissi del senso dell’umano e un’apparente insignificanza del concetto di dignità umana. Sembra che si stia perdendo il valore e il profondo significato di una delle categorie fondamentali dell’Occidente: la categoria di persona umana. Nessuna è neutrale. La tecnologia nasce per uno scopo e, nel suo impatto con la società umana, rappresenta sempre una forma di ordine nelle relazioni sociali e una disposizione di potere, che abilita qualcuno a compiere azioni e impedisce ad altri di compierne altre. Perché i programmi di intelligenza artificiale siano strumenti per la costruzione del bene e di un domani migliore, debbono essere sempre ordinati al bene di ogni essere umano. Devono avere un’ispirazione etica».
Molto perentorio, insomma, è stato il no alla tecnocrazia, rispetto alla quale – come accennato all’inizio – il pontefice ha richiamato il valore alto e indissolubile della buona politica che sa come governare: «Per molti la politica oggi è una brutta parola, e non si può ignorare che dietro questo fatto ci sono spesso gli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici. Non di tutti, solo di alcuni; anche se ci sono strategie che mirano a indebolirla, a sostituirla con l’economia o a dominarla con qualche ideologia, il mondo non può funzionare senza la politica che è la più alta forma di carità, la più alta forma dell’amore».
Un intervento dagli alti contenuti, in definitiva, ma anche un richiamo alla virtù, di certo cristiana ma in molti contesti anche necessariamente umana, della speranza: «Non si può fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto si deve incanalare tale energia in modo nuovo. Questo è proprio il caso dell’intelligenza artificiale.
Spetta ad ognuno farne buon uso e spetta alla politica creare le condizioni perché un tale buon uso sia possibile e fruttuoso».
Tra tanti commenti che sono stati scritti dopo l’intervento del Papa, scegliamo (e non a caso, perché si tratta del presidente della commissione IA per l’informazione e consigliere di Papa Francesco sui temi dell’intelligenza artificiale e dell’etica applicata alla tecnologia) le ultime parole dell’editoriale di padre Paolo Benanti per il quotidiano Avvenire: «Il discorso di papa Francesco rappresenta un momento storico che ci permette di pensare e agire perché l’IA sia davvero al servizio dell’umanità: siamo chiamati a costruire un domani che sappia mantenere al centro l’uomo».
Igor Traboni