La rivista IntraVedere propone questa nuova rubrica, dedicata alla riscoperta degli autori della Mistica cristiana e di quell’assimilazione profonda sotto l’azione della Grazia, a sostegno di accompagnamento e percorsi spirituali.
Della vera obbedienza. La vera e perfetta obbedienza è una virtù che supera tutte le altre, né alcuna opera, per grande che sia, può avvenire o essere realizzata senza questa virtù; d’altra parte, per quanto piccola e minima sia un’opera, essa è più utilmente compiuta nella vera obbedienza – sia ciò dire o ascoltare la messa, pregare, contemplare, o qualsiasi altra cosa. Prendi pure un’opera, piccola quanto vuoi: la vera obbedienza la rende migliore e più nobile. L’obbedienza realizza sempre il meglio in ogni cosa. In verità, l’obbedienza non fuorvia mai e non ostacola nulla, qualsiasi cosa si faccia, in tutto ciò che procede dalla vera obbedienza, giacché essa non trascura alcun bene. Mai l’obbedienza deve mostrarsi inquieta, nessun bene le manca. Quando l’uomo rinuncia a se stesso nell’obbedienza ed esce da se stesso, Dio è obbligato a entrare in lui, perché se questo uomo non vuole nulla per se stesso, Dio deve volere per lui nell’identico modo che per se stesso. Quando io mi spoglio della mia volontà per mettermi nelle mani del mio superiore senza volere più nulla per me stesso, bisogna che Dio voglia per me: se mi trascura, egli trascura se stesso. Così è sempre: quando io non voglio nulla per me, Dio vuole al mio posto. Ma fate attenzione: che cosa vuole Dio per me, quando io non voglio nulla per me? Se io ho rinunciato a me stesso, bisogna necessariamente che egli voglia per me ciò che vuole per se stesso, nel preciso identico modo e né più né meno di ciò che vuole per se stesso. Se Dio non agisse così, per la verità che lui è, Dio non sarebbe giusto, non sarebbe Dio, come è sua naturale essenza. Nella vera obbedienza quel che deve trovarsi non è: «Voglio questo o quello» oppure «Voglio così e così», ma una totale rinunzia a ciò che è proprio. Perciò la migliore preghiera non è: «Dammi questa virtù o questo modo di essere», oppure: «Signore, donati a me, o dammi la vita eterna»; ma soltanto: «Signore, dammi solo ciò che vuoi, e fai ciò che vuoi nel modo che vuoi».
Questa preghiera soverchia l’altra come il cielo la terra. Si prega bene quando si prega così: nella vera obbedienza, completamente usciti da se stessi per giungere a Dio. E come la vera obbedienza non deve dire: «Io voglio questo», così non deve dire: «Io non voglio questo», perché un simile «Non voglio» è un vero veleno per l’obbedienza.
Come dice sant’Agostino, il servo fedele di Dio non spera che gli si dica o gli si dia ciò che vorrebbe sentire o vedere, perché il suo primo e supremo impegno è intendere ciò che più piace a Dio.
Della più intensa preghiera e dell’opera più alta La più intensa preghiera, la più potente per ottenere qualsiasi cosa, e l’opera fra tutte superiore, è quella che proviene da uno spirito libero. Più esso è libero, più la preghiera e l’opera sono intense, degne, utili, lodevoli e perfette. Uno spirito libero può tutto. Che cos’è uno spirito libero? È quello non turbato da nulla, non legato a nulla, che non fa dipendere da alcunché il suo bene supremo, che in nulla mira a quanto è suo, ma è completamente sprofondato nella dolcissima volontà di Dio e ha deposto ciò che è suo.
Nessuno può compiere un’opera, per piccola che sia, senza ricavare da questo atteggiamento la sua forza e il suo potere. Bisogna pregare tanto intensamente da volere che tutte le membra dell’uomo, tutte le sue forze – occhi, orecchi, bocca, cuore e tutti i sensi – vi siano applicati, e non si deve smettere prima di accorgersi che si è sul punto di unirsi con colui che è presente e cui si rivolge la preghiera: Dio.
PER SAPERNE DI PIÙ
Il Maestro Eckhart nacque intorno al 1260 in Turingia nella città di Hochheim e morì molto probabilmente nel 1328 ad Avignone. Entrò nell’ordine dei frati Predicatori, i domenicani, nel convento di Erfurt dove compì il noviziato.
Approfondì la teologia nello Studium generale domenicano a Colonia, luogo in cui poté respirare gli insegnamenti del grande dottore Alberto Magno che precedentemente vi aveva insegnato.
Successivamente a Parigi iniziò l’attività accademica svolgendo l’incarico di lettore delle Sentenze di Pietro Lombardo, cioè svolgeva il compito di commentare e interpretare quella che all’epoca era la più completa e autorevole sintesi della dottrina teologica. «Eckhart, come Tommaso d’Aquino, ricevette per ben due volte – fatto veramente notevole – il mandato di magister actu regens (ordinariato) all’università di Parigi».
Eckhart ebbe anche compiti di governo: «Dal 1294 al 1298 è priore del convento di Erfurt e vicario della Turingia. Nel 1303 è nominato priore provinciale della provincia domenicana di Sassonia. Nel 1307 è nominato vicario generale per la provincia domenicana della Boemia. Ancora, nel 1324, a Strasburgo, ricopre l’incarico di vicario generale con la giurisdizione sui monasteri femminili dell’ordine dei predicatori».