CULTO E PIETÀ POPOLARE NELLA FESTA DELLA MADONNA DI COSTANTINOPOLI

MARIA, MADRE E REGINA NOSTRA

Origini del culto

Tra i verdi campi che degradano dolcemente verso la valle del Fortore, nel nostro Molise che guarda alla Puglia, nella primavera del 1383 il cavaliere di stirpe francese Amelio Joinville-Briquenay, esponente di quell’aristocrazia fondiaria che costellava i Castelli del Regno, erigeva ai piedi del borgo di Pietracatella, un piccolo edificio sacro votato alla Madonna di Costantinopoli. Un ex voto per la vittoria riportata dalle truppe dei d’Angiò contro il sovrano Carlo III di Durazzo.

Se da un lato la neonata cappella, nota come Santa Maria dello Pozzoreo, diveniva segno del potere signorile sul territorio, dall’altro un forte sentimento di pietà popolare si originava da quelle mura che accoglievano la raffinata immagine di una Vergine Regina, opera lignea plasmata nella Napoli di tardo Trecento, oggi acquisita in raccolta privata. Scultura che, insieme alla più recente statua processionale condotta nel 1695 da Giacomo Colombo, veniva trasferita dalla campagna in un’altra cappella, dedicata al Santo di Montpellier, più vicina al paese. La «molta divozione del popolo», come tramandano gli scritti dell’acuto papa beneventano Benedetto XIII, per la sacra effigie, portò nel Settecento, da parte dello stesso antistite, alla riconsacrazione della chiesetta di san Rocco alla Vergine costantinopolitana.

Un luogo santo, affidato dal 1754 alla fraternità laicale che i Padri della Missione fondarono qui, sotto la protezione di san Vincenzo de’ Paoli e della Vergine Maria.

Devozione mariana e riti della festa

Custode della venerata figura mariana, la Confraternita, tutt’ora operante, nel tempo ha promosso con singolare fervore il culto alla Madre di Dio. Intorno al prodigioso simulacro della Madonna di Costantinopoli si è sviluppata, infatti, una profonda devozione, così marcata da segnare non solo il tessuto religioso della Comunità ma anche quella dell’area fortorina.

Fulcro della ricca attività che la Congrega promuove, è certamente l’organizzazione e la cura delle celebrazioni in onore della Vergine. Collocati nel cuore della stagione primaverile, i festeggiamenti in onore della Madonna sono tra le celebrazioni più rappresentative e significative nel panorama delle tradizioni popolari pietracatellesi.

I riti della festa hanno inizio nella solennità dell’Ascensione per concludersi poi nel giorno dedicato alla Vergine, il martedì successivo alla Pentecoste. Nella liturgia del Novenario particolarmente interessante e suggestivo è il cerimoniale della Castellana, che si svolge durante la messa vespertina della domenica di Pentecoste.

La Castellana è un grande altare ligneo, sul quale viene issata, attraverso un meccanismo di argani, la statua della Madonna. L’altare disposto su tre registri, addobbato con drappi e trine, e ornato di fiori, viene innalzato al centro dell’abside della chiesa. La statua della Madonna rimane collocata sulla Castellana fino al martedì di Pentecoste. In questo giorno, secondo un’antica usanza, si svolge la solenne processione votiva con il simulacro della Vergine, che si snoda di anno in anno lungo i due distinti itinerari, attraversando le strade cittadine giunge fino alla campagna, “alla macchia della Madonna”, per invocare, attraverso l’intercessione della Vergine Maria, la benedizione del Signore sui campi – un tempo anche sugli armenti – e sul lavoro dell’uomo. Prendono parte alla processione anche caratteristici carretti che vengono decorati con fiori di campo, caprifogli, rose e ginestre, e ricoperti da un folto intreccio di rami d’edera arricchito da mazzetti di stipa. I carri accolgono al loro interno i bambini affidati dalle mamme alla protezione della Madonna. Questi sono trainati da coppie di pecorelle, coperte sul dorso da una mantellina di colore azzurro sulla quale è ricamato il monogramma mariano.

Le dinamiche della festa, nelle loro peculiarità, hanno sempre avuto un rapporto diretto con lo svolgersi dei lavori dei campi, per l’intero corso dell’anno. Ed è proprio dalle tradizionali consuetudini pastorali dell’addiaccio e dello stabbio, tipiche dell’economia di queste terre, che il marchese di Pietracatella, Giuseppe Ceva Grimaldi, primo Priore della Fraternità, aveva generato uno stretto legame tra le pratiche agro-pastorali e le concomitanti celebrazioni mariane. Da qui l’origine dell’affettuoso appellativo di Madonna della ricotta: del soffice e gustoso latticino, beneficiavano infatti, nei giorni della festa, non solo le persone bisognose, quale espressione di carità, ma anche coloro che, recatisi in pellegrinaggio alla Vergine, potevano assaporare ricotta e formaggio prodotti dal latte cagliato, in grosse caldaie, nei pressi della chiesa.

Un santuario per le vittime del lavoro

Tra le tante opere attuate dai Priori, che si sono susseguiti alla guida della Confraternita, trova posto la costruzione di una nuova chiesa dedicata Vergine, quella attuale, frutto sapiente dei Maestri Pescolani che vi lavorarono, a più riprese, nella seconda metà dell’Ottocento. Dalla memoria delle antiche pietre della cappelluccia crollata, completamente trasformate nelle forme e nella spazialità, sorge uno dei maggiori esempi di architettura sacra del XIX secolo della nostra Regione. Un capolavoro d’arte e di spirito minato, nella calda estate del 2015, dal crollo improvviso di una cupola del transetto, che trascinò con sé tre operai, uno dei quali, Giuseppe Mancino, ne rimase vittima. Dopo otto anni dal tragico evento, uno spiraglio di luce si è aperto: la preghiera semplice e costante, in questo luogo, ha fatto maturare l’idea di elevare la chiesa della Madonna a Santuario diocesano per le vittime del lavoro. La cerimonia di intitolazione è stata officiata il 30 luglio dello scorso anno. Un santuario che apre il sentiero della speranza, all’incontro con il Signore della Vita, per non permettere che cada nell’oblio il sacrificio di giovani vite strappate dalla fatica all’amore dei propri cari.

Michele Pasquale