Beirut nei racconti di quarant’anni fa era sinonimo di strade piene di buche. Fu l’effetto dei bombardamenti di una delle tante guerre araboisraeliane provocate dall’insana decisione di far atterrare sul suolo palestinese uno stato ebraico per liberare l’umanità del complesso di colpa di persecuzioni di vario genere a danno di un popolo sparso nel mondo. Non valsero nulla, agli occhi di improvvidi protagonisti della comunità internazionale, le ragioni di chi già viveva in quella terra da secoli.
Beirut ora presenta altri buchi, le caverne scavate dal Partito di Dio negli ultimi anni per rintanarvi munizioni e rampe di lancio da utilizzare contro l’odiato popolo di Israele. Come riporta Al Jazeera, in un recente video Hezbollah ha mostrato combattenti che guidano grandi camion e motociclette attraverso strade sotterranee ben illuminate, in una rete di tunnel per immagazzinare e lanciare missili.
E il contingente di interposizione che avrebbe dovuto assicurare la pace nella zona cuscinetto creata al confine tra Israele e il Libano, UNIFIL, lo ha consentito per anni, forte del tacito consenso dell’esercito libanese con cui è coordinato (che è sempre in contatto con Hezbollah) e della comunità internazionale, la quale non ha evitato che una decina di dipendenti dell’agenzia delle nazioni unite per i rifugiati fosse coinvolta nell’assalto del 7 ottobre.
Oggi, dopo che nessuna posizione ufficiale si è registrata contro l’operazione di Netanyahu a Gaza e poi al confine nord, si interviene a difesa del contingente suddetto perché semplicemente non sarebbe “accettabile” la prima avvisaglia di intervento con la minaccia di aggredire comunque i cunicoli e i terroristi che vi si nascondono a pochi metri dai militari italiani e di altre nazioni impegnati in un lavoro risultato oggettivamente inutile fino ad ora.
E un moto risentito e scandalizzato si leva a difendere la posizione di Unifil, considerata strategica per la pace, contrastando la richiesta dello stato ebraico di farsi da parte per consentire di eliminare le postazioni terroristiche di Hezbollah che da anni lanciano razzi nel territorio israeliano, senza che nessuno se ne sia accorto, né lo stato libico né tantomeno Unifil.
Ricordo che il “partito di Dio” è ed è riconosciuto come tale, da Usa ed Europa, come un’ organizzazione terroristica, non diversa da tutte quelle che tutti i paesi civili hanno combattuto sotto ogni latitudine quando ne sono stati colpiti. Risulta e dichiara di essere un’organizzazione paramilitare islamista sciita antisionista.
D’altra parte è lo stesso capo di stato maggiore della difesa italiana Luciano Portolano a dichiarare che purtroppo Unifil non ha (e dovrebbe avere, per quello che si è detto) tra le sue regole d’ingaggio la capacità di disarmare Hezbollah.
Naturalmente quanto abbiamo rilevato finora non esclude il giudizio di orrore per tutta l’operazione lasciata sciaguratamente nelle mani di Netaniahu dal parlamento di Israele, giustificata dall’intenzione di sgominare prima Hamas e poi Hezbollah, ma realizzata purtroppo a spese degli scudi umani da loro utilizzati vilmente per trovare scampo.
Il nostro giudizio deve risultare identico a quello espresso sulla vendetta dell’amministrazione statunitense contro il massacro delle torri gemelle. Nessuna azione terroristica ai danni di una nazione civile degna di questo nome potrà mai giustificare una risposta che si ponga sullo stesso barbaro piano di una indiscriminata violenza.
E a parte il fatto che fa impressione ascoltare parole di protesta a difesa di UNIFIL dagli stessi che più o meno scopertamente forniscono armi ad Israele, denunciamo ancora una volta le operazioni incostituzionali dell’Italia, dopo quella nella guerra dei Balcani, in Ucraina, tra l’altro per un conflitto le cui ragioni restano in tanti di noi non univoche ad un occhio appena libero dalla propaganda o da ricostruzioni preconfezionate.
Dunque, nelle condizioni più o meno implicitamente accettate dal contesto internazionale, non dovrebbe essere difficile decidere di ritirare un reparto internazionale che comunque ha fallito nella sua missione, prima che qualche incidente ci faccia sfiorare una guerra anche tra Israele e altri paesi europei tra cui il nostro..
A meno che (e questo, ispirati dalla tenacia di papa Francesco, lo auspicheremmo, dalla nostra posizione sempre schierata contro qualsiasi guerra) non si intenda incardinare su quel rifiuto un effettivo avvio di una tregua e di una relativa trattativa.
La stessa cosa in tanti insistentemente chiediamo alla comunità mondiale a proposito dell’altro conflitto in Ucraina, su cui passeggia indisturbato il progetto di Zelensky, mai stanco di chiedere nuove armi per una improbabile vittoria, fatta comunque di sacrificio di terre e di popoli.
Roberto Sacchetti