È noto che la nostra Unione Europea tanto decantata non è ancora compiuta. E la sua costituzione imperfetta genera i suoi mali. Finché non saneremo compiutamente l’assetto politico ed economico univoco che in essa si prevedeva, non potrà funzionare in maniera adeguata. Basti l’esempio di una tassazione diversa Stato per Stato, che favorisce operazioni disinvolte delle sue più grandi aziende alla ricerca della sede meglio garantita da un sistema fiscale più vantaggioso, come nel caso di Stellantis. Paradossalmente quella coesione che non è assicurata in ambiti veramente necessari viene ribadita da una rigida legge sulla concorrenza che, senza prevedere e considerare il problema prima esposto di una tassazione ineguale, che incide sul principio in oggetto, pretende l’assenza di ogni forma di aiuto statale alle imprese.
Proprio perché l’unico criterio affermato di questa Europa è il dominio bancario, sempre nel quadro di una struttura incompiuta, si impone invece la stessa ora a tutti gli stati che compongono l’Unione, pur essendo chiaramente differenti i fusi, dal Portogallo ad ovest all’Ungheria ad est.
Gli Stati Uniti d’America, ben altrimenti costituiti e stabili da più di trecento anni, lasciano rispettare i fusi a ciascuno stato componente, come è più logico. E non ci si obietti che 3 fusi orari sono meno di 4, perché la sostanza non cambia.
Ma c’è un’altra cosa evidente in questi giorni di novembre, quella offerta dalle recenti elezioni oltre Atlantico. Il sistema dei cosiddetti Grandi Elettori è più efficace e probante che il nostro. E garantisce una vera alternativa, come dimostrato dai risultati vecchi e dai più recenti.
Fatta questa premessa, mi sarà concesso di sottolineare che non abbiamo granché da temere dalla nuova amministrazione, specie se allontanerà quella guerra in Ucraina che la precedente ha provocato, prima con l’ingerenza nella lotta politica di quel paese per combattere i russofoni e poi con una pressione al confine in funzione dell’adesione alla NATO temuta da Mosca. Infatti il nuovo presidente proporrà un congelamento della situazione attuale (unica possibilità reale) e l’assicurazione che l’Ucraina non entrerà nella NATO, con la garanzia degli Stati Uniti sulla sua indipendenza.
Nel caso del medio oriente, poi, almeno non potrà fare peggio, visto che proprio Trump nel settembre 2020, poco prima di perdere le elezioni, volle siglare l’accordo di Abramo, che prevedeva una soluzione equa per il rapporto tra ebrei e palestinesi. Non dimentichiamo che l’attacco di Hamas del 7 ottobre, all’origine dell’attuale tragedia, mirava a boicottare quell’intesa.
Da quella terra che noi europei abbiamo scoperto ci arriva un’altra lezione, che è quella della ritrovata ed effettiva rappresentanza dei problemi reali della generalità di persone lasciate indietro dalle élite newyorkesi, di avvocati e finanzieri, concentratissime sulla difesa dei diritti umani propri della insistita narrazione woke per nascondere la loro spesso assoluta indifferenza ai diritti dei salariati dell’industria e degli operatori dell’agricoltura, probabilmente preoccupati, questi ultimi, anche dal vento della trasformazione energetica alimentato dai teorici del cambiamento climatico.
La chiusura delle case automobilistiche della grande tradizione statunitense non interessava molto negli ultimi anni alle classi abbienti fiorite nei vari studi legali della Grande Mela o nel mondo dorato hollywoodiano della California o nelle multinazionali della finanza e degli affari.
È anche paradossale che a difendere i diritti di questi diseredati si sia presentato, per poi essere premiato, un miliardario come Trump. Tra l’altro sostenuto da un altro miliardario come Elon Musk. Ma la storia è piena di esempi simili, senza dover citare gli estremi favolistici dei generosi filantropi. E comunque aspettiamo almeno di vedere all’opera i nuovi eletti prima di trinciare giudizi a priori.
Soprattutto non dimentichiamo il rumore organizzato per mesi da un’informazione univoca, che, ignorandone le conseguenze sfociate in due attentati, continua ancora a classificare come un criminale chi ha ottenuto il favore elettorale. Una simile operazione di discredito non rispetta il volere e contesta implicitamente l’intelligenza di milioni di americani, comunque la maggioranza netta. Solo chi non vuole ammetterlo nega che da noi una simile operazione provocò aggressioni alla persona del nostro primo ministro nella scorsa generazione.
Chi come noi ha sempre desiderato la pace nel mondo non può negarsi almeno la speranza che coloro che hanno sconfitto governanti precedenti tanto inutili e inaffidabili nel processo di risoluzione dei conflitti abbia non solo la dichiarata intenzione di cambiare le cose ma anche la determinazione e la capacità per farlo.
Abbiamo bisogno di un mondo in cui regni la concordia tra quel quarto di umanità che si ritiene superiore, almeno nei suoi ultimi rappresentanti, e gli altri tre quarti che chiedono udienza e rispetto nel contesto internazionale. Mi riferisco ai paesi della NATO, finora ostili e a quelli del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che si sono organizzati di conseguenza intorno a un paese individuato come unico aggressore e plurisanzionato.
Roberto Sacchetti