Il giorno 10 ottobre scorso i lavori sinodali a Roma hanno messo al centro delle riflessioni la tematica riguardante l’unità dei cristiani. Il cardinale Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei cristiani, intervenendo ha messo in risalto come il cammino sinodale in sé è ecumenico e che il cammino ecumenico non può che essere sinodale.
Questa la ragione per la quale la dimensione ecumenica diventa a tutti gli effetti uno degli aspetti più rilevanti di questo Sinodo e un gesto importante tra le chiese resta lo scambio dei doni dal quale si può molto imparare.
Ai lavori partecipa anche il metropolita di Pisidia S. Eminenza Job, presidente della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Nel suo intervento parla del “dialogo con ortodossi” che ormai si intesse da 20 anni con profitto, mettendo in risalto proprio come un riavvicinamento, una riconciliazione possibile può portare davvero frutti nella vita interna di ciascuna delle due chiese. A valorizzare questo concetto è il recente documento del Dicastero per la Promozione dell’unità dei cristiani, che evidenzia il non cercare solo qualche “compromesso” tra le chiese ma di porre le basi per una vita comune e un’unità cristiana.
Sul valore dell’esperienza relazionale si sofferma anche Sua Eccellenza Martin Warner, vescovo di Chichester e copresidente dell’ English-Welsh Anglican-Roman Catholic Committee.
“Possiamo guardarci reciprocamente, riconoscere le differenze ma è importante anche lo scambio di doni per crescere nelle rispettive esperienze”. Lui sottolinea e afferma che le sessioni sinodali cattoliche, differenti da quelle anglicane caratterizzate dalla preghiera e dal silenzio, soprattutto “non legislative”, garantiscono “uno spazio protetto, dove aprire i cuori gli uni agli altri, nella conversazione dello Spirito, per guardare in modo creativo e coraggioso alle sfide di questo secolo”. Anche questo, o soprattutto questo, è un dono.
La reverenda Anne-Cathy Graber, pastora della Conferenza Mennonita Mondiale e segretaria per le relazioni ecumeniche, per la prima volta al Sinodo, si dice “sorpresa per l’invito”, dal momento che appartiene a una chiesa “poco nota”, nata dalla riforma del XVI secolo e caratterizzata dal battesimo dei credenti e dalla non violenza attiva. “La Chiesa cattolica – afferma – non ha bisogno della nostra voce, che è molto minoritaria, ma proprio questo dice molto della sinodalità, e dimostra che ogni voce conta, ogni voce è importante”. Per la pastora Graber l’unità dei cristiani non è solo la promessa del domani.
Continua: “Non siamo solo vicini ma apparteniamo allo stesso corpo di Cristo, siamo membri gli uni degli altri, come diceva san Paolo. La nostra voce e la nostra presenza sono state accolte come quelle di tutti gli altri anche se privi di diritto di voto come delegati fraterni. La pari dignità del battesimo è visibile. Non c’è una Chiesa potente che domina dall’alto. Siamo, tutti, un popolo che insieme cammina e cerca”.
La sessione relativa alle domande ha toccato in particolare i temi dei rapporti all’interno del dialogo ecumenico e dei rapporti tra primato del Vescovo di Roma e sinodalità. Quanto si sta facendo, spiega il cardinale Koch, “dimostra che non vi è una crisi dell’ecumenismo, ma diverse sono le sfide che esso affronta”. Anche se si vive una situazione triste, provocata dalle parole del patriarca di Mosca e capo della Chiesa ortodossa russa, Kirill, che ha causato rottura con Costantinopoli, c’è una commissione mista, cui partecipano 15 Chiese ortodosse, che prosegue il lavoro. Il dialogo continua nella speranza di creare un futuro migliore, anche con la speranza di preparare insieme una assemblea plenaria”.
Il metropolita di Pisidia aggiunge che la Chiesa di Cristo rimane in campo, nonostante le posizioni politiche espresse da Kirill, e il dialogo teologico va avanti per porre basi solide. Lo definisce un movimento senza nessuna pausa nel cammino. Koch aggiunge: “Il movimento ecumenico si realizza, appunto, camminando insieme, pregando insieme, collaborando insieme. Gesù stesso non ordina l’unità dei cristiani, ma prega per essa: cosa possiamo dunque fare noi di meglio, se non pregare che possa realizzarsi come dono dello Spirito Santo?”. Il primato non diventa un’opposizione, ma un’opportunità su cui discutere e trovare un punto d’incontro”.
Quanto, invece, alla questione dell’ospitalità dei sacramenti, è stato ricordato che il Papa ha istituito un apposito gruppo di lavoro, e che ancora non c’è uno stesso livello di visione, ma si spera come dice Job “di poter arrivare a definire un’unica data per la Pasqua tra cristiani e ortodossi” .
Il giorno successivo l’11 ottobre nella Piazza dei Protomartiri Romani in Vaticano si è tenuta una Veglia ecumenica di preghiera alla presenza del Papa con i vari rappresentanti delle chiese.
Il luogo scelto – piazza dei Protomartiri Romani – non è casuale: “Qui la tradizione colloca il martirio di Pietro e ci ricorda – come afferma il cardinale Koch – che la santità è la via più sicura per l’unità”. La preghiera è stata animata dai delegati delle chiese cristiane e dalla Comunità di Taizé, una comunità nata da frère Roger, e nota perché dal 1940 in poi in essa si aprì un percorso di guarigione delle lacerazioni che da tempo dividevano i cristiani. Nella formulazione delle preghiere si è preso spunto da due testi conciliari la costituzione dogmatica Lumen Gentium e il Decreto sull’Ecumensimo Unitatis Redintegratio dei quali ricorre il 60.mo anniversario. Nella memoria liturgica di San Giovanni XXIII, che avviò il Concilio Vaticano II l’11 ottobre 1962, evento che ha segnato l’ingresso ufficiale della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico, Papa Francesco fa risuonare ancora una volta l’anelito di piena unità tra le confessioni cristiane.
Nell’omelia ha “gridato” allo scandalo della divisione, quello di «non dare insieme la testimonianza al Signore Gesù», quello scandalo che i Padri conciliari erano convinti danneggiasse la predicazione del Vangelo. Quello che ribadisce il Papa è il bisogno di una testimonianza comune, già sperimentata purtroppo in molte parti del mondo come «ecumenismo del sangue», più forte di qualsiasi parola.
L’unità dei cristiani è necessaria per la missione e sicuramente questo Sinodo – sempre secondo Papa Francesco – è un’opportunità per superare «i muri che ancora esistono tra noi».” è lo Spirito Santo che guida verso una maggiore comunione, – rimarca il Papa- “l’unità è un frutto del Cielo, non della terra, che va al di là di qualsiasi impegno volontaristico da parte dell’uomo, pure indispensabile.
È una grazia, insomma. Questo deve alimentare una disponibilità all’affidamento. È un dono di cui non possiamo prevedere i tempi e i modi; dobbiamo riceverlo senza porre alcun ostacolo alla Provvidenza e senza pregiudicare i futuri suggerimenti dello Spirito Santo”.
La visione di Papa Francesco dunque è una visione dinamica, legata a un processo che matura nel movimento, strada facendo, con un servizio reciproco, in uno stile di cooperazione, permettendo la sua crescita, confermando proprio lo stile sinodale.
L ’unione tra i cristiani come i pellegrini di Emmaus cresce e matura in un comune pellegrinaggio “al ritmo di Dio”, e con l’accompagnamento di Gesù risorto che cammina con noi.
“L’unità, non è dunque frutto di compromessi o equilibrismi e lo Spirito ci spinge in un’unità di multicolore diversità». Il Papa precisa che proprio il Sinodo ci aiuterà a riscoprire la bellezza della Chiesa nella varietà dei suoi volti.
Chiamati allora tutti all’unità del corpo di Cristo, siamo invitati insieme a riflettere sugli ostacoli visibili che ancora ci dividono nel percorso di santità comune e se la santità è la via più sicura per l’unità essa ci porterà a voler costruire l’unità dovunque, gettando ponti di riconciliazione al di là di tutto, dappertutto e soprattutto al di sopra di tutte le avversità.
Carmela Venditti