Ci inchiniamo profondamente di fronte alla testimonianza della vita e della morte di Edith Stein, illustre figlia di Israele e, allo stesso tempo, figlia del Carmelo. Suor Teresa Benedetta della Croce, una personalità che porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo, una sintesi ricca di ferite profonde che ancora sanguinano; nello stesso tempo, la sintesi di una verità piena al di sopra dell’uomo, in un cuore che rimase così a lungo inquieto e inappagato, «fino a quando finalmente trovò pace in Dio» (Giovanni Paolo II in occasione della beatificazione di Edith Stein a Colonia, il 1° maggio del 1987).
Le parole di Giovanni Paolo II delineano e sintetizzano la figura di E. Stein, la “donna più Santa” e la “Santa più donna”, espressione gradita a S.E. Mons. Colaianni, da sempre affascinato dalla definizione che la Chiesa dà di Santa Teresa Benedetta della Croce.
Le parole del Papa, inoltre, sembrano cogliere e descrivere l’intensità e il senso profondo che il prof. Michele D’Ambra è riuscito a infondere in ognuno di noi presenti. Catturati dalla sua voce pacata e dalle sue parole ben calibrate, abbiamo seguito con reverenziale rispetto le vicissitudini, le inquietudini, l’affannosa ricerca di verità di Edith Stein, ebrea, filosofa, carmelitana, mistica, santa.
È qui che, nell’evento del 9 dicembre presso la sala Celestino V, in un clima caldo e coinvolgente, la filosofia e la teologia sembrano essersi materializzate in un incontro di continuità e reciprocità: la filosofia domanda, la teologia risponde.
La filosofia è stata lo strumento che ha permesso a E. Stein di cercare, di investigare, di capire il senso dell’uomo, dell’umanità, della vita, del pensiero, dell’animo, dello spirito, ma, inevitabilmente, tutto questo l’ha condotta ad un particolare incontro che è quello della Croce, dell’offerta della Croce nell’abbandono a Dio” (S.E. Mons. Colaianni). Dopo i saluti e l’introduzione di S.E. Mons. Biagio Colaianni, Arcivescovo Metropolita di Campobasso-Boiano, della Dott.ssa Maria Concetta Chimisso, Dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Molise, e della Prof.ssa Pina Di Lembo, direttrice dell’Ufficio Scuola dell’Arcidiocesi di Campobasso e moderatrice dell’incontro, ha preso la parola il prof. Michele D’Ambra, membro del direttivo dell’Associazione Italiana Edith Stein, docente di Filosofia e filosofo, conosciuto e apprezzato da tanti presenti in sala.
“COME UN BIMBO TRA LE BRACCIA DELLA MADRE. AMORE, LIBERTÀ E ABBANDONO: L’ESISTENZA DI EDITH STEIN” è il titolo della relazione che il professore ha offerto ai presenti, con generosità e con la passione di chi crede profondamente nella verità, raggiungibile e raggiunta attraverso un percorso che parte dal “desiderio di scoprire il senso delle cose e della vita…”; e nel desiderio, la domanda, e dalla domanda la ricerca e l’attesa di una risposta concreta che plachi lo spirito inquieto.
L’incontro del prof. D’Ambra con E. Stein avvenne per una di quelle circostanze della vita che accadono senza che le si mettano in conto. Fu un professore dell’Università a parlargli della Stein e della “Scientia Crucis”. Colpito dalla figura di questa donna, iniziò a studiare la sua vita, la sua opera, a tradurre, a scrivere; più si addentrava in questo studio, più scopriva la bellezza di questo cammino, del percorso da lei compiuto, sicuramente non semplice. Una passione nata così, coltivata con tutto il cuore e mai allontanata; la vita di Edith, infatti, gli fa compagnia da quarant’anni, una compagnia quotidiana perché non c’è giorno in cui non senta il bisogno di leggere, di tradurre, di occuparsi di lei. Nel suo racconto, il professore ha esplorato gli eventi che hanno segnato la vita di Edith perché “non si può comprendere quello che è il pensiero, la vita di una persona se non si comprende quello che lei ha vissuto”. Ebbene, la vita di Edith, come quella di tutti, è stata segnata da incontri “con persone vive”, relazioni, legami che in qualche modo hanno determinato la sua vita.
Il primo incontro fu quello con la famiglia. Nacque in un contesto relazionale, in una relazione d’Amore, in una famiglia ebrea che, pur rispettando tradizioni e usanze, non era praticante; Edith, però, dovrà fare comunque i conti con questo ebraismo; quando si convertirà al Cattolicesimo e sceglierà di entrare nell’Ordine delle Carmelitane, infatti, la sua famiglia la ripudierà e questo sarà fonte di notevoli problemi e sofferenze. Ultima di sette figli, il rapporto, forse il più importante e il più drammatico nella sua vita terrena, sarà quello con la madre, una donna forte che gestirà gli interessi economici della famiglia dopo la morte del marito e che ripudierà la figlia non potendo accettare il disonore della sua conversione. Eppure, sarà proprio il rapporto con la madre, profondo e drammatico, quello che più di ogni altro formerà la personalità di Edith. Probabilmente la madre, la relazione con lei, fornirono la base sicura (direbbe Bowlby) dalla quale Edith poté allontanarsi, seppur con sofferenza, per esplorare il mondo esterno ed intimo, percorrere un cammino difficile, aspro, sanguinante, senza mai indietreggiare di fronte al bisogno di luce, al bisogno di senso, al bisogno di risposte che avvertiva dentro di sé e raggiungere, finalmente, “la settima stanza”.
Ed ecco… la settima stanza! Il luogo dell’interiorità. “Santa Teresa descrive la nostra anima come un grande castello che ha sette stanze concentriche; la settima stanza è la più interna, quella dove c’è la protezione maggiore ed è quella in cui abita il re. Il cammino che l’uomo deve fare è rientrare in questa settima stanza per incontrare il re”. Ed è qui che trova senso la “solitudine” del Monastero, una solitudine che diventa incontro e dialogo con il Signore che Santa Teresa chiama “Amato”. Oggi è “frequente incontrare persone che vivono un’intera esistenza come stranieri di se stessi, tutti protesi all’esterno e completamente all’oscuro circa la propria interiorità”.
Certo, sono di moda tante filosofie “della New Age” che portano all’interiorità, ma è un’interiorità dove si incontra il nulla.
Invece, l’interiorità cristiana e carmelitana che vediamo in Edith, o meglio in Santa Teresa Benedetta della Croce, è diversa perché è un cammino guidato dallo Spirito ed è lo Spirito che rende liberi e permette a ogni essere umano di entrare in relazione con Dio, nel più intimo di sè stesso e abbandonarsi a Lui. Se l’incontro di dicembre fosse stato solo una giornata di studio e un semplice approfondimento della figura di Edith Stein, sarebbe stato più facile raccontare, relazionare. Ma un evento di tale spessore, con un relatore e un “padrone di casa” di così grande levatura, ha reso questo lavoro particolarmente difficile.
Il prof. D’Ambra ci ha condotti prendendoci per mano, nelle profondità dell’animo umano, ci ha accompagnato, introdotto dolcemente nella settima stanza e ci ha donato indescrivibili emozioni.
Nel silenzio della sala, nonostante l’elevato numero dei presenti, ho percepito un coinvolgimento emotivo che ha raggiunto l’apice soprattutto in alcuni passaggi. Tutti hanno provato, come me, un forte sentimento di commozione davanti all’immagine, che il professore ha proiettato, estrapolata dal film “La settima stanza”, dove la regista ha immaginato l’abbraccio tra Edith, ormai priva di tutto, e la madre, simbolo di una riconciliazione sperata e mai avvenuta in questa vita.
In quella immagine io ho visto me, madre, e me figlia. L’abbandono, tra le mie braccia, di mia figlia bambina che proteggevo prima di affidarla alla vita e l’abbandono, tra le mie braccia, di mia madre prima di consegnarla alla morte, all’altra vita; entrambe nude. Per questa immagine, ho pianto.
Giuseppina di Lembo