Nel tardo pomeriggio del 10 c.m. nel Seminario dell’Arcidiocesi di Campobasso è stato presentato il libro Un Angelo in cielo e un Angelo in terra di Caterina Dato a cura di Maria Mancino.
Un libro piccolo di pagine, ma grande enorme di spessore umano e cristiano. Un libro che va diritto al cuore di chi legge, così lo definisce l’Arcivescovo Emerito P. Bregantini prefatore. Ancora più diritto, diretto e veloce, è arrivato al cuore di noi numerosissimi (Sala Celestino V strapiena) partecipanti alla presentazione. Subito coinvolti dagli sprazzi narrativi dialoganti ed empatici tra l’autrice e la curatrice e dagli spunti profondamente teologici che da essi ha tratto P. Bregantini ritenendoli perfettamente consoni al Giubileo della Speranza che stiamo vivendo. Atmosfera ri-flesso coinvolgente di una modalità di scrittura originalissima. Un angelo in cielo e un angelo in Terra è stato scritto a due cuori non a due mani. Cuore a cuore: il cuore di mamma Caterina (il libro si apre con la frase sono una madre) che racconta la storia incredibile, brutale della perdita di suo figlio Giancarlo, il percorso doloroso, lento, liberante del perdono cristiano concesso all’assassino amico, fratello adottivo e il cuore di mamma Maria compaesana che la raccoglie con la sua penna esperta e benefica.
Prosegue: affido la mia storia all’inchiostro, con la speranza che la mia testimonianza possa in qualche modo essere di aiuto a chi ha dovuto, o deve affrontare ostacoli e perdite. Intento che si è potuto cogliere raggiunto già dall’attenta partecipazione del gran pubblico convenuto e ancor più dalla ressa finale per acquistare il libro.
Tutti vi diciamo grazie: a te Caterina di questo gioiello che ci hai regalato, a te Maria per il tuo talento, la maestria e il garbo materno con il quale ce lo hai trasmesso e fatto apprezzare: in tutta la sua bellezza umana e sovrumana. Già dai primi capitoletti si gusta e si capisce una rievocazione narrativa essenziale (solo 78 pagine escluse le pochissime finali, anch’esse molto originali); P. Giancarlo coglie nel segno: intensa e chiarificatrice. Davvero penetrante, a tratti squisitamente poetica. L’ambientazione spaziale e temporale comprende l’intero arco della vita di mamma Caterina. Forma un autentico mosaico storico molisano della difficile vita contadina nel periodo postbellico della seconda guerra mondiale. Già a 40 giorni deve affrontare, con l’asinello di famiglia unico mezzo di trasporto, la difficoltà costante delle sue stagioni esistenziali: lo spostamento continuo da un luogo ad un altro, l’emigrazione per necessità di sopravvivenza (il molisano nato da un popolo di emigranti è stato e continua ad essere migrante: trova la valigia già nella culla o… la deve prendere da giovane). Neonata da Cercemaggiore nel 1947 si troverà trasferita a Matrice vicino al Convento dei Figli dell’Amore Misericordioso dove il padre lavora la terra. La Famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso accompagnerà le tappe formative e spirituali di mamma Caterina: a Roma nel collegio delle Sue Figlie per frequentare le elementari, a Collevalenza nella Casa della Giovane per imparare il mestiere di magliaia.
Dal ritorno a Matrice per esercitare l’arte di magliaia si snodano i futuri avvenimenti della giovane Caterina.
La sua carriera di madre inizia a Francoforte dove fresca sposa emigra con il marito Angelo e dove nasce il suo primogenito Giancarlo: vivacissimo capellone nero corvino, grande meraviglia rispetto ai suoi colleghi biondi tedeschi, con occhi azzurri. Mentre inizia il nuovo mestiere di mamma, avanza di nuovo quello di migrante: la famiglia si trasferisce a Termoli comprando casa con i risparmi tedeschi.
Qui nasce Fabio secondogenito, bravo e responsabile già da piccolo, qui i due fratelli crescono e studiano. Entrambi onorano la cittadina adriatica scegliendo i suoi istituti tipici: Giancarlo l’alberghiero, Fabio il nautico. L’istituto scolastico scelto da Giancarlo, che lo porterà a fare il cameriere in un ristorante di Vasto dove stringe amicizia con un giovane cuoco che diventerà come fratello, segnerà in seguito la tragica e acerba fine della sua sorte terrena. L’iniziale amico di lavoro porta il suo nome accorciato, si chiama Carlo, ma non ha niente in comune con lui che è affabile, allegro, altruista: l’amico estroverso sì, ma ammaliatore, con un passato difficile trascorso fra l’orfanotrofio e un’adozione che si rivelerà fallita. Con la proposta ambigua di voler creare insieme una casa di recupero per tossicodipendenti, ammalia anche Giancarlo che generosamente lo accoglie prima e poi lo adotta insieme alla famiglia in casa sua. Si fa artefice, invece, dopo anni di convivenza in casa di mamma Caterina, del delitto più efferato e traditore: con una sola mirata coltellata al cuore nell’intimità della camera da letto di primo mattino, è da supporre mentre l’amico fratello di casa dorme, simula il suicidio di Giancarlo.
La notte più cupa e dolorosa si abbatte sulla casa di mamma Caterina spegnendo totalmente suo figlio e lei dentro: chiusa in una gabbia di angoscia, mi sembrava di vivere un martirio, perdere un figlio è contro natura, perderlo in quel modo è inaccettabile.
Nelle dinamiche evolutive di questa tragedia familiare, inimmaginabile anche per un film poliziesco più scioccante, si colloca la svolta narrativa centrale: l’anima del libro, il nucleo esistenziale e cristiano, personale familiare, dell’intera narrazione materna. Mamma Caterina pellegrina consumata rimane paralizzata. Non riesce più a muovere un passo come cristiana madre e moglie. Il marito Angelo torna a Milano per il lavoro, l’altro figlio Fabio giovanissimo elabora il lutto del fratello nel silenzio e nella riservatezza. In questa vita senza vita dal suo profondo sente sgorgare di nuovo la preghiera che tappata nel suo dolore aveva messo da parte e dimenticata: mi appellai alla preghiera; pregai tanto per lui e con lui; iniziai a sentire la sua presenza anche se diversa da quella di prima. Potenza Onnipotente della preghiera alla quale nulla è impossibile (Mt.17,20). Le mamme possono essere generative sempre e comunque anche nelle più disumane situazioni, quando si affidano alla vera fede che sposta tutte le montagne, perfino le più insormontabili.
Attraverso un’ulteriore migrazione a Matrice in casa dei genitori malati dopo aver lasciato quella tenebrosa di Termoli, trova la sua meta e la sua massima rivelazione nel perdono (dono divino per gli altri non capacità umana) di Carlo da lui stesso richiesto e nell’ordinazione sacerdotale di Don Fabio. Il perdono, ridà vitalità, energie e voglia di vivere a mamma Caterina e alla sua famiglia. Mentre alla grande festa di Fabio sente la certezza della presenza viva di Giancarlo in mezzo a loro: non sente più la sua morte, ma viene inondata dalla sua vita lei e i suoi familiari. Inoltre vede finalmente abbracciati i due fratelli: Un angelo in cielo e un angelo in terra, come li chiamava la suora dell’Amore Misericordioso di Matrice che tanto l’aveva aiutata e sostenuta. Giancarlo è di nuovo fra i suoi fino al punto che l’ultima parte del libro riporta, in maniera molto bella e originale, le lettere che i suoi cari gli scrivono. Ha ragione P. Giancarlo: libro quanto mai appropriato e fecondo (non va solo letto ma riletto e meditato) in questo Anno Giubilare della Speranza, tale da inviarlo anche a Papa Francesco.
Rosalba Iacobucci