Due sono i grandi appuntamenti, in novembre: la giornata dei poveri e la festa di Cristo Re. Sono vicini, anche sul calendario. Ma soprattutto sono contigui nella dinamica spirituale e sociale. Intrecciati – come amo spesso dire – perché mentre guardiamo a Cristo, Signore dell’universo, sentiamo che non ci saranno più poveri, se quell’adorazione sarà fatta non di incensi soltanto, ma soprattutto di servizio umile e gratuito. Perché Servire è Regnare. Servire è riconoscere che quel volto che adoro alla Chiesa della Libera, poi lo servo alla Casa degli Angeli. E’ lo stesso volto. E’ la stessa festa: la giornata dei poveri e la festa di Cristo Re; domenica 15 Novembre e domenica 22 novembre.
Non è facile, poiché gli interessi privatistici, nelle cose che facciamo, riemergono sempre. Sia a livello personale che sociale. Servire Cristo come Re, vuol dire infatti che tutta la mia vita si orienta a lui. Che le mie energie le coagulo intorno al suo Regno, fatto di giustizia, verità, libertà e grazia. Combatto per lui che mi restituisce pienezza di significato. Se sento che Cristo è il vertice, allora so il perché vivo, il perché soffro, il perché amo ed anche il perché muoio. Sarà lui il filo che raccoglie tutte le perline della mia esistenza. Cristo è il filo, noi le perline. Senza quel filo, tutto va perso, anche se le perline fossero dorate, a nulla servono, perché andranno smarrite. Se invece avrò il filo nel cuore, anche le perline sbucciate o imperfette saranno capaci di costruire una bellissima collana.
Allora inizio a capire anche il mistero di questo virus, perché colgo che è il momento di rimettere la giustizia sociale ed ecologica al centro del nostro vivere sociale. Non prego fideisticamente, come se fosse il Signore, lui solo, che ci libererà dalla pandemia. Ma sarà il servizio al Signore a darmi le forze per poter mettermi in corsia a servizio degli ammalati. Non avrò paura, ma zelo. Non sottomissione ai poteri forti della politica, ma un sentire cordiale per costruire il Bene Comune.
Se Cristo sarà da noi venerato come vero RE, rinascerà tra di noi la fraternità, come ci ha insegnato papa Francesco, nella sua recentissima Fratelli tutti. Sull’esempio di san Francesco, che mentre pregava il Signore con cuore pieno di lode, rischiava la morte pur di incontrare il Sultano Malik-al-Kamil, in Egitto. Ambasciatore di pace e non di eserciti in lotta. Lui ha sfondato le linee nemiche, perché ha reso tutti fratelli. Non gli eserciti armati fino ai denti, così lodati nel fatidico giorno del 4 Novembre, quando sembra che a compiere il “sacro dovere della difesa della Patria” sia solo l’esercito che combatte sul Carso. Basta con queste logiche miopi, ristrette. Soprattutto vecchie. Tutti, tutti difendiamo la nostra terra. Tutti crediamo che l’unità è superire al conflitto! Ed una maestra a scuola, con i bambini delle elementari pieni di domande sul senso del vivere sociale, difende la Patria come un militare in trincea. Questo è oggi il servire la patria: mettersi a mensa con i poveri, incontrarli alla stazione, accogliere i migranti che bussano alla nostra porta.
Ci piace rileggere il bel numero 3 del testo di papa Francesco: “Ci colpisce come, ottocento anni fa, Francesco raccomandasse di evitare ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna “sottomissione”, pure nei confronti di coloro che non condividevano la loro fede!”. Questa è la libertà che ci dona il Signore Gesù, quando è venerato come il RE. Non ci sono più i primi e gli ultimi, perché solo chi serve è il primo. Servire è regnare.
La terra è nostra. Se sarà di Dio. Come Dio! Nel segno dell’acqua, riscoperta sotto le falde del Matese, in una sorgente che gratuitamente ci dona acqua in abbondanza. E non solo per noi, del Molise, ma serve la Campania e riempie di rubinetti di Benevento. Con la stessa gratuità. Proprio perché siamo tutti figli di Dio, davanti al Cristo nostro RE. Anche i ROM saranno nostro fratelli. E da queste colonne stiamo imparando a conoscerli di più, per poterli avere alla stessa nostra mensa. Ed il ragazzo che sceglie di diventare “contadino” sarà pari a chi sceglie l’avvocatura! Perché entrambi avranno, in una scuola seria e in presenza (!), la gioia di possedere la stessa lingua. Una lingua sciolta che ci fa tutti cittadini, in pari dignità, perché nessuno schiacci l’altro, ma tutti in reciproco dono di fraternità, come la pioggia e il sole, che scendono sui cattivi e poi sui buoni.