Più di 1500 bambini, donne e uomini, sono costretti a vivere nel freddo e nella neve tra i boschi della Bosnia Erzegovina a pochi chilometri dal confine con la Croazia, una regione della vecchia Europa il cui profilo riusciamo a scorgere anche dalle nostre coste.
Il 23 dicembre la tendopoli di Lipa, che ospitava questi nostri fratelli e sorelle – il popolo dei migranti della rotta Balcanica – ed era il loro unico rifugio, è andata a fuoco e le loro già misere condizioni di vita si sono ancor di più aggravate.
Oggi, mentre scrivo e il freddo si fa sempre più forte, ricordandoci quanto possa essere crudo l’inverno per chi non ha i mezzi per difendersene, uomini, donne e bambini, provenienti soprattutto dalle lontane terre del Pakistan e Afghanistan, sono costretti a vivere senza acqua, né elettricità, senza servizi igienici, senza riscaldamento se non quello assicurato dai falò alimentati dalla legna inviata dalla Caritas.
Davanti a queste immagini – che riflettono l’immane tragedia umanitaria che si sta consumando alle porte della nostro paese, circondata da un’indifferenza che conferma come le vite di questi uomini e donne, vecchi e bambini abbandonati a se stessi, privi di tutto, siano considerate gli “scarti” della società dell’opulenza – tornano alla mente le parole di Primo Levi: « Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un si o per un no».
Quello che più colpisce e offende è il fatto che i migranti vengano rifiutati, con violenza e senza nessuna pietà umana, da una parte di quella gente che solo pochi anni fa viveva la drammaticità della guerra e per questo aveva ricevuto la solidarietà della società ecclesiale e civile dell’Europa. Oggi, molti dei perseguitati di ieri, dimenticando quanto hanno ricevuto, respingono e chiudono i cuori e le frontiere a chi, lasciando le proprie terre, teatri di guerre, case e affetti, si è messo in viaggio per raggiungere altri Paesi dove trovare pace, lavoro e una vita dignitosa.
Fra pochi giorni ricorderemo la grande tragedia della Shoah che ha visto i nazisti uccidere nei campi di concentramento milioni di ebrei, zingari, sacerdoti, prigionieri politici, disabili. Nel ricordo di questa infamia ripeteremo, nei Parlamenti, nei palazzi delle Istituzioni e dei Poteri, nelle scuole, tutti insieme: “mai più”.
Facciamo in modo che queste parole siano vere, pronunciate non solo con la bocca ma anche con il cuore. Impegniamoci, dunque, a curare la vita di chi, oggi, viene abbandonato a morire nel freddo e nell’indifferenza, solo perché è un migrante, diverso nel colore della pelle, nell’espressione della lingua, nella fede della religione. Ricordiamo l’ammonimento di Giovanni XXIII che invitava a cercare nell’altro, sempre e con ottimismo e cordialità, la “comune umanità”.
E ancora, riflettiamo sull’attualità della lezione di Primo Levi per noi, generazione segnata dalla pandemia dell’indifferenza: « Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli».
La Caritas Diocesana di Trivento promuove una raccolta di fondi per aiutare i migranti della “rotta balcanica” perché, come ci ha ricordato papa Francesco: «Bisogna pensare al noi e cancellare per un tempo l’io. O ci salviamo “noi” o non si salva nessuno. La speranza si semina con la vicinanza. Nessuno si salva da solo e se tu non ti avvicini per fare in modo che tutti siano salvati, neppure tu ti salvi».
“Vicinanza” agli scartati della “Rotta Balcanica”, perché l’umanità non si congeli nel cuore degli uomini ma si scongeli e come un fiume invada le strade portando segni di vita e non di morte: diritti e pace, scuole e sanità, case e lavoro. La serenità, la dignità, il diritto alla sopravvivenza, come la libertà, non sono divisibili. O appartengono a tutti e nel loro nome uniscono i popoli, o presto non esisteranno più per nessuno e la loro assenza segnerà così un futuro fatto di pene, sofferenze, privazioni per tutti.
Lontani dal cammino che Gesù, con la sua nascita e il suo sacrificio, ci ha indicato.
Trivento, 12 gennaio 2021
Sac. Alberto Conti
Direttore Caritas Trivento