Alcune parole hanno bisogno della notte per essere confidate. La conversazione tra Gesù e Nicodemo (cfr Gv 3, 1-21) avviene, infatti, di notte, proprio perché l’intimità dei due che si parlano deve diventare talmente fluttuante da portare fuori, dai fondali dell’anima, tutto ciò che prima non era visibile e non era nemmeno sfiorabile. La notte è sempre rivelatrice. E’ quel pozzo dentro il quale immergere la propria brocca e trovare la vera sete. La notte è posta alla radice del giorno, come un’anticamera obbligatoria, per prepararsi bene, consapevolmente, prima di accedere all’esistenza. E’ come una sala parto da dove lo Spirito fa nuove tutte le cose.
Giovanni, nel suo Vangelo, ci coinvolge particolarmente in questa dinamica, all’ombra delle ali di Colui che ben conosce quello che c’è nell’uomo (cfr Gv 2,23-25). La notte, nelle pagine di Giovanni, è scenario e simbolo, conosciuta, infatti, come il momento in cui si inciampa, si traffica, si tradisce, si congiura, si piange. Nel brano che narra l’appassionata ricerca di Nicodemo(cfr Gv 3,1-21), la notte con Gesù acquista un altro significato: quello della nascita, della luce che splende nelle tenebre (cfr Gv 1,5).
Nicodemo vuole incontrare Gesù. I suoi segni l’hanno segnato. Non vuole corteo dietro a sé. Non vuole riflettori. Aspetta che sia buio e si avvia. Non è un clandestino. E’ solo un cuore inquieto, che, una volta toccato, non ha pace finché non gli esprime quanto ardeva in lui.
E’ determinato, come sempre, da vero uomo di legge e di misure qual è. Ed eccolo finalmente davanti a Gesù. Si rivolge a Lui, usando il plurale, lo interpella, anche a nome di qualcun altro: “Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro…”. E Gesù coglie l’occasione e risponde anch’Egli usando il plurale, certo che avrebbe riferito tutto ai suoi colleghi farisei, a quelli di ieri e a quelli di oggi: “…dovete nascere dall’alto”. Con questo comando spunta già qualcosa nel cuore di quella notte: una parola nuova, indice di una maestà divina mai contemplata prima da Nicodemo.
Quanti erranti sono in cerca di un viaggio, prima ancora di una meta! Gesù sveglia Nicodemo da quella lunga notte di sole leggi e precetti. E’ l’ora di nascere dall’alto. Di liberarsi, di capire, di aprire gli occhi, di volare dal basso verso le altezze. Di scendere, perciò, dalle cime del legalismo, fin nelle ferite dell’Amore. Nicodemo è trafitto da quell’invito. Le sue parole lo attirano, lo destano. La sua memoria lo riporta indietro di colpo. Come un bambino impacciato, balbetta, bisbiglia una frase inconcepibile: “Come può nascere un uomo quando è vecchio?Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?”. Gesù lo porta al di là dei soliti suoi schemi. Oltre l’incoerenza tra la fede e le opere. In una dimensione in cui Dio non si afferra più col laccio dei sacrifici, ma dove c’è Dio che si dona totalmente!
Nascere dall’alto è farsi pronti per la scoperta e l’impegno della propria esistenza. Se volessimo riassumere in un’unica parola quest’espressione, così come la indica Giovanni nel capitolo 3, dovremmo dire, infatti: “Scopriti!”. E giacché Gesù ha davanti un uomo che rispettava tutte le regole, la proposta è proprio quella: “Metti in pratica la tua vita!”. Perché si nasce tutte le volte che portiamo vita concreta, quando la difendiamo e la curiamo. Nascere sta per addentrarci nella Risurrezione di Gesù, riportando alla speranza chi è rimasto al buio o indietro. C’è per tutti un iniziale essere partoriti, ma nella traiettoria indicata da Gesù, c’è poi il partorirsi, che è in fondo il decidersi per l’amore di Dio, il farsi rigenerare. Partendo da lì, dall’alto della vita nuova, nata sulla Croce. Ed è questa l’immensa parabola per chi vuole entrare nel Regno di Dio: inoltrarsi nella rinascita decisiva che ci è data da lassù, proprio da Gesù stesso. E’ da quell’altezza che va guardato il mondo e ogni creatura.
Per vivere il senso di questo richiamo continuo, ci è necessario “vivere il mondo” così come scriveva il poeta del quale quest’anno ricorre il 200esimo anniversario dalla nascita, Charles Baudelaire, cioè “come una corrispondenza del cielo”.
Baudelaire, nato a Parigi , il 9 aprile 1821, fu considerato, per la sua vita sfrenata e immorale, un genio “maledetto”. Fu autodistruttivo, ostile nei confronti della società borghese. S’inabissò dentro smodatezze di ogni genere. Circondato da cortigiane e usurai, tentò il suicidio più volte. Fu censurato, perché figlio del proibito. La sua vita oscillava tra gli abissi del sublime e gli abissi oscuri dei vizi, assorbito dal tormento di cieli infuocati e oppressi dal gelo della solitudine. Baudelaire è tutta questa contraddizione umana. Rapito dalla bellezza più ineffabile, ma imprigionato dentro quel male che lo inghiottiva nel disordine senza uscita. Un misero innamorato. Un incatenato che pasticciava nel fango del peccato e dei disastri. Alla luce della lampada, la sua anima, però, era alleviata nel suo tedio, tallonata dal desiderio più lontano, traspariva un calore,: quello di chi cullava l’infinito tra le proprie macerie interiori. Fu figlio di una notte rimasta tale fino alla fine. L’unico bagliore, Baudelaire lo trovò nella Letteratura, scrivendo liriche strazianti, naufrago nell’ignoto che tanto lo affascinò. Una paralisi lo privò dell’uso della parola. Muore giovane e muto, tra le braccia di sua madre il 31 agosto del 1867. L’unico vero approdo è rimasta sua madre. Lei lo conosceva, oltre l’apparente delirio dei suoi eccessi. Fu questa la sua lotta con l’angelo. Da quell’oppressione che, dentro l’animo del Poeta maledetto, profumava di tormento e di libertà estrema, di sete di immortalità, possiamo giungere ad affermare, anche noi, che le contrade abbaglianti e misteriose della Bellezza restano il dono più prezioso dentro e fuori di noi. La bellezza di chi ama riscatta anche la persona più spregevole e peccaminosa.
Ad occhi aperti, sotto un cielo scoperchiato, come Nicodemo, presto o tardi sentiremo la voce di Gesù che ci dice di danzare nella nuova creazione, fra ingranaggi di sentieri che convergono tutti alla fine nella casa del conforto, dove Lui è stato accolto, riconosciuto e riabbracciato. Nascere, sì, per accordare un sentimento di meraviglia al Maestro Gesù che si rivela, s’incarna, risorge, riappare, per darci sempre quella promessa eterna che può essere intravista solo da chi è guardato con lo stesso amore con cui guardava Lui. E dedico spontaneo uno sguardo di tenerezza al ribelle Baudelaire, per questo suo compleanno speciale, riassaporando il suo famoso sonetto Il Nemico, perché chiunque si senta degno di un’altra possibilità, anche oltre il tempo terreno, di respirarla, di raccontarla, di traghettarla nella luce della Misericordia:
La mia giovinezza non fu che una oscura tempesta,
traversata qua e là da soli risplendenti;
tuono e pioggia l’hanno talmente devastata
che non rimane nel mio giardino altro che qualche fiore vermiglio.
Ecco, ho toccato ormai l’autunno delle idee,
è ora di ricorrere al badile e al rastrello per rimettere a nuovo
le terre inondate in cui l’acqua ha aperto buchi larghi come tombe.
E chissà se i fiori nuovi che vado sognando troveranno,
in un terreno lavato come un greto, il mistico alimento cui attingere forza.
O dolore, o dolore, il Tempo si mangia la vita e l’oscuro Nemico
che ci divora il cuore cresce e si fortifica del sangue che perdiamo.
Ylenia Fiorenza