Per Fiorenza e Mattia, alle porte di quest’ultima Pasqua, si è rinnovato il miracolo della vita: è nata Gianna. Ad attenderla c’erano Pietro ed Ester, i suoi fratellini. Un terzo figlio ai giorni d’oggi non è un evento comune.
Fiorenza e Mattia vivono a Chieti, lei lavora in un’azienda farmaceutica, lui è professore di filosofia e dottorando. Caratteri molto diversi: lei più pratica, lui speculativo, ma entrambi con lo stesso grande sogno di costruire una famiglia. Per loro il matrimonio non è stato il punto di arrivo, ma il punto d’inizio. Abbiamo chiesto a Fiorenza di raccontarci un po’ la loro storia.
Come ti ponevi rispetto alle grandi scelte della vita qualche tempo fa? T’immaginavi una famiglia così?
«Non ho mai pensato alla vocazione religiosa. Ritengo bellissimo donare la vita al Signore, ma poi quando vedevo una coppia che si sposava sentivo un ardore diverso. Lì ho capito che quella era la mia strada.
Ero attratta dalla famiglia, ma anche spaventata, perché non avevo intorno a me esempi entusiasmanti. Ho sempre visto in primis le difficoltà nel formare una famiglia. Questo avveniva prima di farla, poi mi sono resa conto che non è così impossibile come credevo.
Il desiderio di fare una famiglia numerosa è nato durante il fidanzamento con Mattia, prima non avevo avuto questo proposito. È misterioso, quasi non lo reputo mio, è come se Dio mi avesse messo nel cuore in un dato momento questo desiderio».
È diventato molto più frequente che le coppie rinviino il momento dell’avere figli per mantenere la loro libertà e il proprio stile di vita. Voi invece…
«Con Mattia abbiamo deciso di essere aperti alla vita sin da subito. Penso che un figlio non vada a distruggere il rapporto tra moglie e marito, un figlio porta qualcosa in più, non toglie. È un dono immenso, non è un diritto, quindi non mi sento di dire “voglio aspettare”. I motivi per aspettare c’erano perché appena sposati solo io lavoravo. Avevamo un solo stipendio e un affitto da pagare. Abbiamo ricevuto molte critiche: il giudizio del mondo non è così benevolo.
Anche quando ho scoperto la terza gravidanza, le persone intorno a noi insinuavano: “Come farete in futuro… come lo manderete all’università?”. Questa paura nel futuro un po’ mi ha rattristato dentro. La tentazione di pensare “abbiamo sbagliato” mi è venuta… Durante la gravidanza queste voci mi avevano un po’ contaminato, ma non erano paure mie, erano dubbi che venivano dall’esterno. Tutto poi è svanito nell’istante in cui ho visto Gianna».
La vita è il primo miracolo, ma ce ne sono tanti altri in una famiglia, non credi?
«Abbiamo visto molti segni della Provvidenza. Mattia prima ha passato il concorso per insegnare nella scuola, poi il dottorato. Ogni giorno abbiamo il giusto per vivere. Il mio motto è “giorno per giorno”: cerco di non pensare troppo al domani, ai problemi… oggi è oggi, devo pensare a far crescere i miei figli “oggi”. Ho fiducia, vivo nella speranza, non nella disperazione. Questa è una scelta».
Diventare genitori ti cambia la vita e cambia anche l’assetto delle relazioni. Questo vale per la relazione con Dio?
«Il rapporto con Dio è rimasto lo stesso, però adesso essendo genitore mi metto di più nei suoi panni. M’immagino quando Lo faccio arrabbiare e Lui mi ama lo stesso, perché la stessa cosa faccio io con i miei figli. Soprattutto con il grandicello, un po’ più birichino: dopo un minuto che mi ha fatto perdere la pazienza lo perdono, perché c’è quell’amore grande. Molte volte facciamo perdere la pazienza a Dio, facciamo cose non gradite a Lui, ma un attimo dopo Lui è pronto ad abbracciarci. La maternità mi ha messo ancora di più nelle braccia e nel perdono di Dio».
Avete chiamato vostra figlia Gianna, come S. Gianna Beretta Molla. Lei diceva: “Ogni vocazione è vocazione alla maternità – materiale – spirituale – morale – perché Dio ha posto in noi l’istinto alla vita… Dobbiamo prepararci alla nostra vocazione, prepararci per essere donatori di vita”.
«La vocazione alla maternità, anche facendo memoria delle esperienze di volontariato, per me è vocazione al servizio, a farsi carico degli altri, ad alzare lo sguardo dal nostro ombelico. Perché quando sei mamma hai sempre lo sguardo fuori da te, devi pensare ai tuoi bambini, ai loro bisogni, fisici, spirituali, affettivi».
In una parola: essere madre per Fiorenza è…
«Accogliere. La mamma dal momento in cui scopre di essere incinta è chiamata a fare spazio dentro di sé. La mamma deve accogliere i suoi bambini come sono, accogliere i loro cambiamenti man mano che crescono, le prove della vita e i loro piccoli e grandi traguardi. Accogliere il bisogno di amore e speranza della tua famiglia, accogliere i sogni e i desideri del tuo sposo.
La maternità può essere di tante forme come ricordava S. Gianna. Puoi essere mamma anche quando non hai figli nel momento in cui accogli qualcuno, gli stai accanto. In questo sta l’accoglienza: far emergere il tuo lato materno».
Gregory Pavone