LA CHIAMATA
“Era un giorno come tanti altri, e quel giorno lui passò”, recita un famoso canto vocazionale. Ed è proprio così. Non esistono giorni specifici in cui Dio chiama. Egli chiama chi, quando, dove e come vuole, esattamente come ha fatto con i suoi apostoli. Non erano persone speciali, non erano giorni particolari. Li ha chiamati, ha aspettato che rispondessero alla sua chiamata e ha permesso loro che si mettessero alla sua sequela. Dal giorno in cui ho avvertito che il Signore mi stava chiamando, quel desiderio di seguire il Signore è stato ogni giorno coltivato, approfondito, anche messo alla prova, nelle comunità del Seminario minore e maggiore di Molfetta prima, nell’Arcidiocesi di Campobasso poi. È un desiderio profondo, la cui gioia va ben al di là del dolore per la dipartita della mia cara mamma, avvenuta lo scorso 20 novembre, solo dieci giorni prima dell’Ordinazione Diaconale, primi Vespri della Solennità di Cristo Re dell’universo.
CHI è IL DIACONO?
Innanzitutto, il termine diacono deriva dal greco diakonos, e significa servitore. Figure presenti già nelle prime comunità cristiane, erano coloro che aiutavano i vescovi nella pastorale. Successivamente, si scelse di ordinare diaconi anche coloro che sarebbero diventati sacerdoti. Purtroppo, nel corso dei secoli, il diaconato ha perso la sua prima identità. Dopo il Concilio Vaticano II, papa Paolo VI ha reintrodotto la figura del diacono permanente, esattamente come nelle comunità delle origini. Egli, come il diacono transeunte (in preparazione al sacerdozio), svolge diversi compiti in comune col sacerdote, come proclamare il Vangelo, benedire, amministrare il Battesimo e assistere alle nozze. Di recente, Papa Francesco ha affermato che essi non sono dei vice-preti, come spesso li si definisce, ma figure ben identificate all’interno della Chiesa. Come Cristo si è fatto servo del Padre, i Diaconi sono i servitori della Chiesa. Per utilizzare un’espressione poetica, essi sono icona di Cristo, servo obbediente.
I 5 DONI
Nella celebrazione di Ordinazione Diaconale, l’Arcivescovo Bregantini ha voluto sottolineare i cinque doni che la Chiesa affida al Diacono:
- L’incardinazione. Il diacono entra a far parte di un presbiterio inserito in una Chiesa diocesana. Ognuno di essi, perciò, è tenuto ad essere in comunione con il Vescovo, i sacerdoti e i confratelli diaconi, nonché con la terra in cui esercita il suo ministero. Egli non solo viene incardinato in una diocesi, ma diviene incarnato all’interno di un territorio, che è chiamato ad amare, rispettare e promuovere. Si è incardinati perché si è incarnati.
- Il celibato (per il diacono transeunte). La terra in cui si è incardinati va amata come uno sposo ama la sua sposa. Il celibato, perciò, consente di avere un cuore libero e sponsale nei confronti di questa terra, per la creazione di relazioni limpide ed autentiche, usando i talenti che il Signore ci dona e che siamo chiamati non a tenere per noi, ma ad investire. Grazie a questo amore emerge la gioia di seguire Cristo. Si sceglie di non legarsi sentimentalmente a una donna per essere totalmente di Dio e delle comunità affidate. Il celibato, perciò, è prefigurazione del Regno di Dio.
- Lavare i piedi ai poveri. La carità verso i poveri non è solo dar loro qualcosa in senso materiale, ma vuol dire essere accanto ad essi, entrare con delicatezza e rispetto nelle loro case e nelle loro vite. Don Milani diceva: “Sii vicino ai poveri e poco amico della roba”. Deve stare a cuore a ognuno di noi, soprattutto se diacono, ogni ideale di bellezza e di libertà (come lo stesso don Milani scriveva), dando parola e dignità a chi è nel bisogno. Il diacono, perciò, non deve seguire le logiche dell’organizzazione ferrea della propria vita, ma deve dare sempre la propria disponibilità nella pastorale della carità.
- Pregare per i poveri. Durante l’Ordinazione, al diacono viene affidato il compito di pregare la Liturgia delle Ore come preghiera universale della Chiesa. Ma la sua preghiera non può e non deve fermarsi a ciò che la Chiesa gli chiede ufficialmente. La preghiera che gli deve stare più a cuore è quella per i poveri, i bambini, i malati e gli anziani, meglio se recitata davanti al tabernacolo, anche se ciò può costare fatica perché, a causa dei molteplici impegni, si è costretti perfino a pregare di notte. La preghiera reciproca tra il diacono e il presbiterio, insieme al Vescovo, sarà meglio espressa se abbiamo prima a cuore la preghiera per quelle situazioni che il Papa ama definire le periferie dell’esistenza.
- L’annuncio del Vangelo. Uno dei gesti più eloquenti dell’Ordinazione è la consegna del libro dei Vangeli. Essa non sta solo a significare che il diacono è chiamato a proclamare la Parola del Signore durante le celebrazioni, ma soprattutto che egli permetta a Dio di incarnarsi nel suo cuore, guidare ogni azione, ispirare ogni parola e pensiero. Prima di essere proclamata, la Parola deve entrare nella sua vita e comunicargli l’amore di Dio, per poter essere strumento di pace nelle mani del Signore, al fine di portare amore dove c’è odio, perdono dove c’è offesa, speranza dove c’è disperazione, essere e portare luce dove c’è buio.
LE PAROLE CHIAVE
Infine, come suggerisce la liturgia di Ordinazione, tre sono le parole chiave dell’essere diacono: credere, insegnare e vivere. Credere in Dio, nel Signore morto e risorto per noi; insegnare, cioè essere portatori della Parola; vivere ogni giorno il Vangelo, l’amore di Dio nei confronti degli uomini, soprattutto verso i più poveri e indifesi. Il diacono è dunque cittadino del mondo per poter essere, un giorno, cittadino del cielo.
Angelo Del Vescovo