Vieni, Signore Gesù, nella mangiatoia delle nostre povertà!
Se vogliamo sapere cos’è veramente il Natale, dobbiamo guardare alla stalla di Betlemme, proprio lì, dove il Salvatore del mondo ha scelto di nascere. Bisogna guardare cioè oltre le stelle filanti, ai doni che ricordano che Dio ha donato se stesso a noi. A Natale, ogni regalo sia il segno di questa festa, come un memoriale esultante. Pieni di gratitudine entriamo più intimamente nel silenzio di quella notte che si fa preghiera, nel calore di quelle carezze di Maria e Giuseppe che hanno fatto da vera culla al Bambino, Gesù, in una notte resa gelida dalle porte chiuse in faccia al Dio fattosi bambino. E’ straordinario metterci di fronte alla mangiatoia di Betlemme èe contemplarla come il trono scelto dal Signore, per manifestare la potenza dell’amore. Essa ci sollecita a fare nostra la Tenerezza scelta dal Figlio di Dio. Tenerezza dentro il gemito delle nostre fragilità. Tenerezza che non lascia indietro e senza un tetto nessuno. Tenerezza che rassicura e pone in salvo i tanti che vivono sotto le bombe della guerra. Tenerezza, sì, come antidoto ai tanti mali presenti nell’Umanità, perché, se ci pensiamo, la Salvezza inizia proprio nel grembo di Maria, nella gestazione dell’amabilità di questa magnifica creatura che ha detto “si” a Dio. Ecco perché il Natale è il tempo per dare ospitalità a Dio, per fargli spazio dentro di noi, come Maria, dentro le nostre comunità, dentro le ferite del nostro mondo. Colui che viene come Luce, che dilegua le oscurità e illumina ogni uomo (cfr Gv 1, 1-18), è la certezza che Dio si è ricordato di noi, nella sua Misericordia (cfr Lc 1, 54).
In mezzo a noi.
Il contatto continuo col mistero di Betlemme ci chiede di intensificare la nostra fedeltà all’annuncio che realizza l’impossibile: “Oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Gesù” (Lc. 2, 11). L’Emmanuele è l’Incarnazione dell’Onnipotenza divina nella piccolezza umana, è il nostro conforto perenne, proprio come ascolteremmo in questo antico inno di s. Efrem il Siro (ca. 306-373) “Questa è notte di riconciliazione, non vi sia chi è adirato o rabbuiato. In questa notte, che tutto acquieta, non vi sia chi minaccia o strepita. Questa è la notte del Mite, nessuno sia amaro o duro. In questa notte dell’Umile non vi sia altezzoso o borioso. In questo giorno di perdono non vendichiamo le offese. In questo giorno di gioie non distribuiamo dolori. In questo giorno mite non siamo violenti. In questo giorno quieto non siamo irritabili. In questo giorno della venuta di Dio presso i peccatori, non si esalti, nella propria mente, il giusto sul peccatore. In questo giorno della venuta del Signore dell’universo presso i servi, anche i signori si chinino amorevolmente verso i propri servi. In questo giorno, nel quale si è fatto povero per noi il Ricco anche il ricco renda partecipe il povero della sua tavola. Oggi si è impressa la divinità nell’umanità, affiché anche l’umanità fosse intagliata nel sigillo della divinità”.
E’ compiuta l’εὐδοκία, il disegno promesso di Dio, il Suo compiacimento per l’intera umanità.
Su questo sfondo va intesa la Buona Notizia annunciata con la forza di liberarci.
Natale è ancora la festa autentica per sentirsi più fratelli o per tornare ad esserlo, con più autenticità.
Perché è il tempo per fermarsi un attimo, per fare i conti con noi stessi e fare in modo che certi valori tornino a riaffiorare nelle coscienze. Attraverso gesti concreti, come il far crollare tutti i muri di divisione, di conflitto, di paura, di violenza. Vegliamo come i pastori, in cammino, senza indugio verso la luce di Betlemme. Come loro, da adoratori di quel Bimbo trovato avvolto in fasce nella mangiatoia. Persone umili che si mettono in ginocchio davanti al Re della Vita. Ascoltatori attenti, divenuti poi annunciatori, evangelizzatori, comunicatori della vera gioia. Dimostriamoci vicendevolmente l’amore di Dio. Non lasciamo solo nessuno! Buon Natale a tutti!
GianCarlo Bregantini