LA TRAGEDIA INVISIBILE

IMMIGRAZIONE IERI

E’ difficile vedere con chiarezza quello che ci accade quando vi siamo immersi nel frastuono delle prime emozioni, siano esse di responsabilità o di sdegno.

Proviamo a creare un po’ di prospettiva sul problema degli immigrati. Ci furono prima gli albanesi e le cose andarono come sappiamo, con un grave incidente conseguenza del tentativo di fermarli in mare. Poi iniziarono i flussi dall’Africa e dal medio oriente.

Quest’ultimo fu avvertito in modo prevalente dalla Germania e dall’Austria, che comunque assorbirono il fenomeno integrando i nuovi arrivati, soprattutto turchi, con non poche difficoltà iniziali.

Il primo investì invece i paesi del mediterraneo, con risposte diverse. La Spagna ingaggiò un’accanita opera di resistenza risolta spesso in vere e proprie aggressioni armate nei confronti dei marocchini. La Francia si mantenne in vigile attesa contando sulla maggiore vicinanza dell’Italia alle coste dell’Africa settentrionale, limitandosi a respingere tutti quelli che tentavano di entrare da Ventimiglia. La Grecia si vide presto esclusa da ogni possibilità di accoglienza per la precaria situazione economica, che del resto non invogliava a entrare nel suo territorio. Malta accampò presto le piccole dimensioni a giustificare una politica di sostanziale rifiuto alle varie forme di salvataggio spesso sollecitate da chi si trovava oggettivamente più lontano dall’area di soccorso. L’Italia infine dovette fronteggiare praticamente da sola il triste fenomeno, dando prova di buona volontà di intervento.

Le cose cambiarono con il progressivo aumento dell’emigrazione soprattutto tunisina e del numero di navi di organizzazioni non governative nella zona in buona parte allestite da un’organizzazione politico economica che non voglio menzionare.

Contemporaneamente mutava la loro strategia di salvataggio, divenendo sempre più simile ad un’operazione di appoggio all’attività degli scafisti, con studiati appostamenti appena fuori delle acque territoriali della Libia per ricevere le richieste lanciate dai traghettatori interessati allo sfruttamento della tragedia di popoli in cerca soltanto di lavoro (i tunisini) o stremati da guerre e carestie di altri territori centrafricani.

Le prove di questo traffico sono affidate ad inchieste che presto dovranno trovare uno sbocco. Le immagini di scafisti che consegnano in tutta tranquillità le loro vittime ai salvatori le abbiamo viste tutti grazie ad agenti infiltrati.

Naturalmente con queste premesse, che incoraggiano a mettere in mare equipaggi disperati, e con il progressivo peggioramento delle condizioni prima descritte nei vari Stati dell’interno, il triste fenomeno di cui parliamo è diventato ingestibile.

Tanto che anche chi nel nuovo governo ha voluto dare prova di più efficace contrasto alla realtà degli sbarchi ha finito per adottare sistemi peggiori delle intenzioni. Costringere le Ong a compiere lunghi tragitti verso porti lontani è il classico provvedimento privo di senso dettato dalla assoluta incapacità di convincere il resto d’Europa alla collaborazione ponendo fine in altro modo più limpido e coerente alla ingerenza delle ong.

Addirittura, sia negli anni passati che recentemente, forse purtroppo su nostra richiesta, i partner europei ci hanno trattato come i turchi, promettendoci compensazioni economiche di vario tipo, purché ce la sbrigassimo da soli. Prima perdonandoci con varie misure il grave debito, poi proprio semplicemente e in maniera offensiva stanziando direttamente un fondo a cui attingere.

Si sarebbe dovuto invece richiamare precedenti accordi che prevedevano la distribuzione immediata, escludere le ong da operazioni che spettavano di diritto allo stato italiano, naturalmente provvedendo con la nostra magnifica Guardia Costiera recentemente infamata a soccorrere chiunque ne avesse bisogno e infine costringendo gli scafisti a desistere dal traffico di esseri umani direttamente sul territorio libico, responsabilizzando gli stati costieri con il coinvolgimento europeo, che non si sarebbe potuto negare, e anche in questo caso sostituendosi a quei vili trafficanti con corridoi umanitari diretti ai vari paesi, riservando alle ultime operazioni stato per stato il riconoscimento e la verifica delle diverse esigenze, ammesso che lo siano diverse. Perché dobbiamo comprendere una volta per tutte che è perfettamente inutile distinguere tra migrazione economica e migrazione frutto di guerre e carestie. L’eliminazione di questa ipocrita inavveduta e inavvertita differenza, introdotta anche dalla miope legge Bossi-Fini, che ha radicato il concetto di clandestinità, frantumerebbe gli alibi continentali e di conseguenza renderebbe più semplice un’integrazione resa in tal modo diffusa e distribuita in vari confini nazionali.

Non ho voluto affrontare in questa sede il tema dello sfruttamento e del caporalato, soprattutto nel sud d’Italia, che ci fa dubitare del disinteressato favore di certi ambienti al fenomeno migratorio così inteso. Potrà essere argomento di una prossima riflessione.

IMMIGRAZIONE OGGI: LA POLEMICA INUTILE

Ora, partendo da lontano, come si vede e come sempre si dovrebbe fare per avere la giusta prospettiva d’analisi, passiamo a considerare la questione del recente naufragio sulle coste calabresi.

Siamo nell’altro teatro che ci circonda, il mare Ionio, dove chissà perché non arrivano le navi delle ong e dunque non si può parlare di un loro coinvolgimento o di provocazione delle partenze come per il caso precedente. Altri scafisti, questa volta dalla Turchia, sfruttano la misera e disperata condizione di gente proveniente da scenari di guerra o incivile sopraffazione delle libertà.

Sono passati ormai alcuni giorni dal naufragio e ad uno sguardo distante dagli avvenimenti affiora la verità, dopo le polemiche rivolte ad ipotizzare addirittura che ne fosse responsabile un ritardo nei soccorsi da parte di una Guardia Costiera ispirata da una sospetta linea governativa di indifferenza nei confronti di questi profughi.

Rivelano infatti i sopravvissuti che gli scafisti a bordo dell’infame traghetto hanno fatto spegnere i motori in vista di una costa ormai vicina e atteso l’oscurità per sbarcare lontano dal controllo delle nostre autorità. Che poi, appena scorte le luci che lasciavano sospettare quell’intervento temuto, hanno virato improvvisamente causando il disastro.

Sfumano così nel ridicolo le accuse pretestuose alla nostra Guardia Costiera, come sempre incuranti, per ragioni politiche di parte, della figura che fanno le nostre istituzioni in un Europa sempre insensibile alle richieste di coinvolgimento e di aiuto.

Purtroppo nella melma delle accuse scambiate tra governi e opposizioni ormai frutto di uno stato lillipuziano della politica affondano sempre più impedite e ignorate le ragioni di popoli protagonisti involontari e incolpevoli della propria tragedia, ricattati da chi sfrutta la loro necessità e accolti in modo inevitabilmente precario e per loro imprevisto al momento della partenza da un paese impreparato e impotente, percorso da stupidi rimpalli di responsabilità più che da una avveduta consapevole e serena progettazione di interventi efficaci e duraturi che prescindano da promesse elettorali da una parte o indegno sciacallaggio dall’altra.

Roberto Sacchetti