Una foto di inizio del secolo scorso. Degli uomini hanno spalato la neve lungo una tratta ferrata, per di più elettrificata e sono in compagnia di una elettromotrice: è lei la “primadonna” che ambisce a passare. Alcuni hanno la cappa, il soprabito senza maniche (somiglia ad un poncho) in uso in Europa occidentale nel corso del Basso Medioevo e rimastovi sino all’Età Moderna. Siamo in Alto Molise e siamo sulla ferrovia Agnone Pescolaciano. Quei binari oggi sono ancora li, fiancheggiati per molti tratti dalla strada che percorriamo in auto. Ma siamo a gennaio. E nella foto c’è la neve, come c’è la neve in questi giorni in Alto Molise. Quella foto finisce per evocare dei ricordi e non solo molisani.
Anche allora bisognava rompere l’isolamento di quelle aree e la costruzione della linea ferrata venne chiesta dalle popolazioni agnonesi sin dall’inizio del XX secolo. Il progetto, redatto dall’ingegnere Federigo Sabelli, venne concesso nel 1911 alla Società anonima per azioni Agnone-Pietrabbondante-Pescolanciano in Agnone e ne fu autorizzato l’esercizio con trazione elettrica. I treni iniziarono a percorrere la tratta il 6 giugno 1915. La linea aveva le caratteristiche di una ferrovia di montagna superando in qualche punto anche i 1.100 m. s.l.m. Svolse un servizio viaggiatori e merci raccordandosi anche con i treni della linea Sulmona-Isernia nella stazione di Pescolanciano.
Venne distrutta nel settembre del 1943 dai guastatori tedeschi in ritirata che ne minarono tutte le opere d’arte distruggendola in maniera chirurgica.
Settembre 1943: l’8 di quel mese era stato reso noto l’armistizio, la resa incondizionata delle forze armate italiane alle forze Alleate con il conseguente disimpegno italiano dall’Asse.
I guastatori tedeschi furono dannatamente bravi: a causa dei gravi danni subiti la linea ferroviaria non verrà più ricostruita. Mons. Bologna il successivo 10 ottobre si sarebbe recato presso il Comando Tedesco al Palazzo Dipenta di Campobasso: “Ho saputo che la galleria presso il Campo Sportivo è stata già minata. Vi prego, astenetevi!” Ma l’impassibile tedesco rispose: “Ciò che deve saltare, salterà! Ciò che deve essere distrutto, sarà distrutto!
E ciò che deve essere bruciato, brucerà!” Infine il silenzio “È la guerra”. Il 10 settembre di quel 1943 è ricordato per il tragico bombardamento Alleato della città di Isernia dove si contarono circa 400 morti.
Ma l’immagine di quel treno in mezzo alla neve richiama alla memoria il 27 gennaio 1945 quando le truppe sovietiche della 60ª Armata del maresciallo Ivan Konev arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), scoprendo il vicino campo di concentramento e liberandone i superstiti.
La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista. Anche lì la storia ci ha tramandato dei binari in mezzo alla neve nel lugubre scenario del campo di concentramento polacco. Primo Levi, internato ad Auschwitz, ne usciì vivo proprio quel 27 gennaio: fu uno dei 20 sopravvissuti dei 650 ebrei italiani arrivati con lui al campo.
Anche in Molise esistevano campi di internamento: ad Agnone, Bojano, Casacalenda, Isernia e Vinchiaturo. Fabrizio Nocera, dell’Università del Molise, parla di circa 260 ebrei internati.
Di questi 98 furono salvati mentre 20 furono trasferiti ad Auschwitz prima dell’8 settembre.
Il comune di Campobasso ha ufficialmente conferito la cittadinanza onoraria alla senatrice Liliana Segre e a Piero Terracina e la cittadinanza benemerita a Giovanni Tucci e Michele Montagano.
Questi campi di internamento furono istituiti dal Governo fascista il 4 settembre 1940. Gli internati appartenevano a varie categorie così classificate dalle Autorità: ebrei stranieri, sudditi nemici (compresi i cinesi), ex Jugoslavi (soprattutto Dalmati), allogenidella Venezia Giulia (Sloveni), italiani pericolosi (antifascisti), italiani condannati per infrazioni annonarie (soprattutto per praticare la borsa nera) ed anche fascisti caduti in disgrazia perché critici verso il regime. I campi furono istituiti in genere in strutture private prese in affitto dal Ministero dell’Interno, compresi monasteri e fabbriche dismesse.
È difficile ricostruire il numero delle persone internate, in quanto nei registri (laddove ci sono pervenuti) i nomi sono spesso cancellati oppure mancano delle pagine. Non si conosce neppure l’elenco preciso dei campi e delle località di soggiorno obbligato.
Il numero complessivo accreditato dagli storici è di circa 200 luoghi di internamento istituti in Italia, nei Paesi occupati e nelle Colonie. La dimensione dell’internamento in Molise è stata esaminata dagli studiosi che hanno raccolto notizie abbastanza precise per le cinque località di internamento: Agnone, Bojano, Casacalenda, Isernia e Vinchiaturo.
Tornando sulla scena del nostro racconto, i resoconti storici ci parlano del campo di Isernia. Esso era allestito nell’ex Convento delle Benedettine ed aveva una capienza di circa 120 posti in quattro camerate al piano terra ed altrettante al primo piano. La Direzione era affidata ad un Commissario di Polizia (il primo fu trasferito per punizione a Casacalenda in seguito alla fuga di due internati stranieri, uno jugoslavo ed un rumeno). La vigilanza era affidata ad alcuni carabinieri e poliziotti.
Nell’estate 1941 fu acquisita una sala cinematografica nella quale vennero sistemati gli ebrei trasferiti da Agnone i quali protestarono per le ristrettezze e le precarie condizioni igieniche chiedendo l’intervento del Nunzio Apostolico. Occorre qui ricordare l’enorme e silenziosa opera svolta dalla Santa Sede e da Pio XII: il Papa e le undici persone del suo “bureau”, esaminarono ed agirono tra il 1938 ed il 1944 su circa 2.800 richieste di aiuto o intervento che riguardarono le vicende di circa 4.000 ebrei.
Dopo l’8 settembre 1943 il campo di Isernia non venne chiuso e diversi internati morirono proprio in seguito al bombardamento Alleato della città.
Paolo Mitri