L’ARTE DELL’AGRICOLTURA

GLI  AURIGHI  DEL  NOSTRO TEMPO

Sfilano disperati per difendere la loro nobile attività, spesso ereditata dai padri. È l’arte dell’agricoltura, l’antica capacità di coltivare i frutti della terra o ricavare il nutrimento dalla cura degli animali. Con ogni tipo di tempo accudiscono il loro bene prezioso resistendo alle intemperie e agli imprevisti di una lotta incerta, mai sicura del risultato, legato a troppe variabili.

È l’opposto dell’attività dei privilegiati loro rappresentanti al parlamento europeo, che comodi sulle loro poltrone decidono disinvoltamente del destino di questi infaticabili lavoratori seguendo i loro teoremi sulla possibilità di bloccare il cambiamento climatico intervenendo sulla produzione di un territorio che pur nella sua ampiezza costituisce a mala pena un quinto del pianeta.

E per fare questo bellissimo e sadico gioco tagliano i contributi per il gasolio, il grande amico che alimenta i loro trattori ma il grande nemico presunto dell’umanità. E per fare questo decidono di programmare la chiusura di un’attività agricola su dieci in poco tempo.

E per fare questo scaricano su quella che ritengono una causa di inquinamento e di consumo di acqua, soprattutto l’allevamento, i costi di conflitti provocati dal capriccio nazionalista di un comico. E per fare questo tagliano i finanziamenti attraverso aumenti dei tassi giustificati da pretese difese dall’inflazione che le loro stesse politiche scriteriate hanno alimentato.

I nostri eroi sul trattore hanno cantato per anni la loro disperazione, hanno chiesto invano di fermare un processo infame di irrisione alle condizioni insostenibili della produzione agricola. Hanno visto molti dei loro confinanti sulla linea del sudore arrendersi e dichiarare fallimenti. Hanno visto tanti fare di più con il suicidio.

Sfilano coi loro trattori fieri dell’appartenenza a un mondo esclusivo, non toccato dalle false promesse della grande città. Sfilano consapevoli che i vari inviati dei mezzi di comunicazione offriranno un’attenzione di circostanza al loro dramma, certi che l’atteggiamento prevalente sarà la speranza che al più presto possa rifluire il traffico quotidiano senza l’intralcio di una categoria ignorata e disprezzata, soprattutto danneggiata dalla nuova e inaudita pista del cibo sintetico o di quello ricavato dall’allevamento degli insetti.

Al di là dell’istintiva simpatia per le vittime di insane e miopi politiche europee, è la stessa natura dei provvedimenti a danno degli imprenditori agricoli che richiede una riflessione attenta alle conseguenze nel lungo periodo. La base della società è l’economia reale non quella gonfiata e parassitaria delle forze che governano il mondo finanziario.

La nostra comunità europea pagherà nel corso degli anni le conseguenze di questo velato strisciante ostracismo nei confronti dei lavoratori dei campi e degli allevatori.

Ma è difficile far comprendere la ragione strategica alla motivazione tattica di rappresentanti che hanno investito nella possibilità di mettersi a posto per la vita anche con soli cinque anni di attività tra Bruxelles e Strasburgo, retribuiti con quasi due milioni di euro. Questi candidi frequentatori di una comunità assolutamente imperfetta e incompiuta, privilegiati spesso digiuni di economia, portati in quei seggi dalla spinta di battaglie ideologiche e astratte, non possono comprendere le ragioni degli insorti. 

Si è rimproverato in passato questo mondo contadino per le truffe a danno dell’Unione. Ma si consideri che spesso erano una forma di difesa contro l’imposizione di abbattere vigne e grano. E comunque il comportamento di alcuni, in molti casi soltanto proprietari e mai onesti lavoratori, non può essere addossato e fatto pesare a un’intera categoria.

Purtroppo la lotta ingaggiata a Berlino è destinata probabilmente ad esaurirsi in una sterile rappresentazione del disagio senza sortire validi e duraturi effetti sulla Commissione e sul Parlamento europei, che obbediscono a ben altre logiche, sostenute a dispetto della ricordata incompletezza dell’organo europeo. Tanto più che già si sta sollevando il solito studiato e pretestuoso allarme contro le infiltrazioni di movimenti di destra nella protesta. È insieme il segnale e la premonizione della repressione.

Mi piace comunque descrivere questi seimila trattori come i carri degli aurighi di epoca greca e romana, che portavano schiavi che speravano di acquistare la libertà attraverso i guadagni che consentiva la loro dura e rischiosa professione.

Viva gli aurighi del nostro tempo!  

Roberto Sacchetti