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I VANTAGGI DELL’UTILIZZO DI UN ROBOT IN CHIRURGIA

Il più noto sistema di chirurgia robotica è il da Vinci® della Intuitive Surgical Inc, uno dei primi sistemi chirurgici robotizzati per chirurgia mininvasiva che dalla sua immissione sul mercato – sul finire degli anni ’90 – ha trovato applicazione in diversi campi come l’urologia, la ginecologia, la chirurgia generale e la chirurgia vascolare e toracica. Esso è costituito da tre componenti principali:

1) la console chirurgica, tramite la quale il chirurgo controlla la fibra ottica e gli strumenti per mezzo di manipolatori e pedali,

2) il carrello paziente, composto da quattro braccia mobili e interscambiabili dedicate al supporto della fibra ottica e di strumenti da 5 mm a un massimo di 8 mm,

3) il carrello visione, che contiene l’unit‡ centrale di elaborazione dell’immagine di ciò che accade all’interno del paziente.

Nel campo della chirurgia robotica spinale, invece, una delle novità più utilizzate è Excelsius GPS, l’unico sistema di navigazione e robotica integrata, utilizzato per la prima volta proprio in Italia: il sistema agisce come un vero e proprio GPS indicando al chirurgo la strada migliore per eseguire l’intervento, ed è indicato per intervenire sulle patologie che richiedono la stabilizzazione vertebrale.

Un ulteriore esempio di applicazione di chirurgia robotica è rappresentato dalla telechirurgia, che permette l’esecuzione a distanza di interventi chirurgici: il primo caso fu la Lindbergh operation, un’operazione di colecistectomia effettuata da un team di chirurghi francesi con sede a New York su un paziente a Strasburgo effettuata il 7 settembre 2001.

La telechirurgia, grazie all’implementazione della tecnologia 5G, potrebbe in pochi anni fare passi da gigante: basti pensare che recentemente al Policlinico di Bari è stato eseguito un intervento di chirurgia oculistica completamente da remoto, con il paziente in sala operatoria e il chirurgo nel suo studio che è intervenuto su una distrofia epiteliale di Cogan azionando in tempo reale il laser che ha materialmente effettuato l’operazione, controllandolo e guidandolo a distanza tramite un sistema di visione 3D ad alta definizione, con l’ausilio, appunto, della tecnologia 5G che ha garantito un’elevata velocità di trasmissione dei dati e una latenza inferiore ai 50 millisecondi tra la postazione di controllo remoto del chirurgo e il laser in sala operatoria.

L’utilizzo della chirurgia robotica, indubbiamente, è ricco di vantaggi sia per il chirurgo che per il paziente. I robot chirurgici consentono una maggiore stabilità e precisione dell’intervento, azzerando, ad esempio, il rischio del classico tremolio della mano dell’uomo quando opera. I robot chirurgici, guidati da medici esperti, possono infatti eseguire movimenti con una stabilità e una accuratezza difficilmente raggiungibili attraverso le tecniche tradizionali, aspetto cruciale in interventi complessi e delicati, che consente di ridurre il rischio di danni ai tessuti circostanti.

La chirurgia robotica permette, inoltre, di intervenire sul paziente tramite piccole incisioni che riducono l’impatto anatomico sul paziente: un approccio così mininvasivo consente al paziente di avere dei tempi di ripresa più rapidi, di soffrire di meno dolore in fase post-operatoria e di essere soggetto a un rischio sicuramente più basso di infezioni rispetto a un intervento chirurgico tradizionale.

Non può trascurarsi il vantaggio di avvalersi, tramite la chirurgia robotica, della realtà aumentata, con la possibilità per il chirurgo di visualizzare il campo operatorio come se vi fosse immerso dentro, riuscendo così a identificare lesioni altrimenti percepibili solo al tatto, con un margine di errore che è molto più basso rispetto a un intervento chirurgico tradizionale.

Non mancano, infine, i casi di applicazione alla chirurgia robotica dell’intelligenza artificiale: si passa dai sistemi che sfruttano l’automazione per posizionare le telecamere in base allo sguardo del chirurgo o alla posizione degli strumenti, fino ad arrivare a sistemi molto più complessi che sono in grado di operare in autonomia, come il robot STAR (Smart Tissue Autonomous Robot). Si tratta di un robot progettato da un team di ricercatori della Johns Hopkins University in grado di automatizzare uno dei compiti ritenuti più complessi e delicati in chirurgia: la riconnessione di due estremità di un intestino, una fase estremamente impegnativa che può essere compromessa anche dal minimo tremore della mano del medico che la esegue.

Le implicazioni legali  derivanti dall’utilizzo  della chirurgia robotica

La chirurgia è entrata in sala operatoria già negli anni ’90, rivoluzionando il modo di operare e il decorso post-operatorio del paziente; le norme giuridiche, invece, sono rimaste al palo e si dimostrano inadeguate al progresso tecnologico, che viaggia a una velocità nettamente superiore rispetto alla legge.

Negli ultimi decenni si è diffusa a macchia d’olio l’applicazione in campo medico della robotica chirurgica, che ha rappresentato una tappa fondamentale nell’evoluzione della pratica medica. Questo campo multidisciplinare combina l’ingegneria avanzata, la tecnologia e la chirurgia tradizionale, offrendo nuove prospettive per la precisione e l’efficacia degli interventi.

L’attuale contesto si caratterizza per una domanda sempre più crescente di soluzioni chirurgiche avanzate, ma soprattutto personalizzate in base ai bisogni e alle peculiarità del paziente.

La robotica, in questo scenario, si inserisce come una risposta innovativa che consente ai chirurghi di eseguire procedure complesse con una precisione senza precedenti, magari anche a centinaia di km di distanza dal luogo in cui viene operato il paziente.

Nonostante la robotica si sia affacciata all’interno delle sale operatorie quasi trent’anni fa, in Italia e in Europa la normativa stenta ad adeguarsi all’innovazione tecnologica. Non esiste, infatti, una legislazione specifica che disciplini i vari profili di responsabilità che potrebbero derivare dall’uso della chirurgia robotica. Se, infatti, durante un intervento un robot si rompe, oppure si verifica un malfunzionamento, chi ne risponde: l’ospedale, il medico, l’intera equipe operatoria, il produttore del robot, lo sviluppatore del software? Invece, in caso di un attacco hacker che colpisca anche il software per l’utilizzo del robot proprio mentre il chirurgo lo sta utilizzando, la colpa su chi ricadrà?

Ci si chiede inoltre, sotto il profilo etico, cosa potrebbe accadere nel caso in cui durante un intervento chirurgico eseguito da un robot completamente autonomo si verifichino delle complicanze che rendano necessario prendere rapidamente delle decisioni sulla necessità e opportunità o meno di intervenire. Rimettere una decisione del genere esclusivamente a un robot o a un sistema di intelligenza artificiale esporrebbe il paziente al rischio di essere vittima di pregiudizi (bias) derivanti da una programmazione non adeguata; questo pericolo, invece, non ci sarebbe se la decisione venisse rimessa al giudizio umano. Purtroppo, a causa della lentezza con cui le leggi vengono adottate – ma anche adattate alla vita quotidiana – non è possibile avere una risposta certa a queste domande.

Nell’attuale contesto normativo potremmo pensare di equiparare un robot chirurgico a un dispositivo medico, con conseguente responsabilità del produttore per i danni derivanti da prodotto, oppure si potrebbe pensare a un’ipotesi di responsabilità da fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 del codice civile per il medico e alla responsabilità contrattuale per la struttura sanitaria, proprio come accade, in generale, per la responsabilità medica in applicazione della legge Gelli-Bianco.

In questo contesto il paziente che subisca un danno durante un intervento svolto con chirurgia robotica avrebbe l’onere di dimostrare l’inadempimento da parte del chirurgo, oltre che quello di provare il nesso causale tra l’inadempimento e il danno subito, sempre che la struttura sanitaria riesca a dimostrare che l’inadempimento dipenda da causa ad essa non imputabile. Per riuscire a imputare la responsabilità del danno subito al medico, invece, il paziente dovrebbe dimostrare che il danno subito sia diretta conseguenza della sua condotta, mentre il chirurgo dovrà dimostrare di avere adempiuto alla prestazione in maniera esatta, in assenza di sua colpa, ovvero che l’inesatto adempimento sia dovuto a cause esterne, imprevedibili e inevitabili, comunque non imputabili a lui.

Stante l’assenza di una normativa ad hoc per questo tipo di fattispecie, tuttavia, non è detto che – proprio come accaduto negli anni passati per la responsabilità medica – la giurisprudenza ci offra soluzioni creative che potrebbero spingere i medici a non avvalersi più degli strumenti tecnologici, con danni inimmaginabili in termini di progresso scientifico e di migliori possibilità di cura per i pazienti.

È auspicabile, perciò, che con l’ausilio degli operatori del settore vengano al più presto emanate delle norme specifiche in materia di chirurgia robotica, che siano finalmente al passo con i tempi.

Andrea Notarpaolo, Bologna