MOLISANI NEL MONDO

I CINQUANT’ANNI DELL’ASILO ITALIANO DI WOHLEN

Asilo italiano, Edificio

 

Dici mutualità e pensi alle istituzioni a base associativa ispirate al principio dell’aiuto scambievole, delle prestazioni reciproche, alle forme di cooperazione. Mutualità che, associandola all’emigrazione italiana, richiama le società di mutuo soccorso sorte in particolare nell’America Latina alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento per offrire assistenza alle decina di migliaia di connazionali che in quel periodo alimentarono l’esodo di massa dal nostro Paese. Mutualità significa anzitutto volontariato e impegno senza fini di lucro.

Anche in Europa non mancano esempi di ammirevole mutualità che in tanti casi ha contrassegnato la vita dei nostri emigrati. L’Asilo italiano di Wohlen (Svizzera), che quest’anno ha celebrato il suo cinquantesimo anno di vita, è un modello di mutualità finalizzata a portare aiuto e sostegno alle famiglie immigrate, non solo italiane. Una ricorrenza, il suddetto cinquantesimo, che non poteva passare inosservata perché troppe cose legano la comunità italiano all’Asilo e c’era dunque un’esigenza molto sentita di organizzare un momento comunitario di condivisione per ricordare, per non dimenticare, perchè senza memoria non c’è futuro. Ed è stato fatto attraverso le immagini, con una mostra fotografica che mette in primo piano i protagonisti di allora e i tantissimi bambini che hanno frequentato l’Asilo italiano, che ora sono essi stessi genitori.

C’è stato un tempo in cui molti bambini hanno sofferto la lontananza dai loro genitori emigrati. E ci sono stati anche i bambini che, quando suonava il campanello di entrata, o qualcuno bussava alla porta d’ingresso, si nascondevano sotto il letto: figli di lavoratori e lavoratrici stagionali che non avevano diritto a stare in Svizzera con i loro genitori, un fenomeno finito spesso sotto i riflettori, grazie alle ricostruzioni storiche e alle testimonianze della televisione svizzera.

I bambini che cinquantanni fa iniziarono a frequentare l’Asilo italiano di Wohlen sono stati fortunati rispetto ai figli degli immigrati stagionali. Frequentavano l’Asilo italiano in un ambiente sereno e costruttivo, assistiti dall’affetto delle suore inviate dalle congregazioni italiane, che in quei primi anni ebbero un ruolo fondamentale per il radicamento e la crescita dell’Asilo. Bambini che ebbero la possibilità di apprendere le basi della lingua tedesca, un aspetto di assoluta importanza per il loro futuro scolastico e conseguentemente professionale.

Dalle fotografie esposte si vedono i volti di giovani donne e uomini emigrati da poco in Svizzera, di personaggi della società e dell’imprenditoria locale di allora. La comunità italiana aveva già allora superato il migliaio di cittadini; un’emigrazione giovane formata in maggioranza da giovani coppie con figli piccoli. Don Silvano Francola, il Missionario che era giunto dall’Italia da pochi anni, capì subito che quelle giovani famiglie avevano bisogno di aiuto e che occorreva un Asilo che desse loro tranquilità, potendone sostenere anche i costi relativi. Giova ricordare che all’epoca le retribuzioni delle lavoratrici e dei lavoratori italiani erano nettamente inferiori a quelle della popolazione indigena e per chi aveva messo su famiglia era praticamente d’obbligo che entrambi i genitori lavorassero.

Fu formata una commissione di sostenitori, con numerose personalità svizzere, in particolare Peter Dreifuss, importante rappresentante dell’industria locale ma anche generoso benefattore, che mise a disposizione il terreno  su cui costruire l’asilo; il resto lo fecero i numerosissimi italiani che si misero a disposizione volontariamente per la realizzazione dei lavori: muratori, carpentieri, falegnami, elettricisti e altri artigiani si rimboccarono le maniche e contribuirono con centinaia di ore di lavoro gratuito alla costruzione dell’Asilo.

Anche a distanza di cinquant’anni, l’Asilo Italiano resta un esempio di ponti costruiti tra nazioni e culture diverse e un modello d’inclusione a carattere internazionale e interconfessionale. Il modello che Don Silvano aveva sempre posto in primo piano, condiviso in toto dalla Commissione di gestione.

Franco Narducci,  Wohlen (Svizzera)