DIFENDERE LA VITA: SPERANZA E IMPEGNO PER L'UMANITÀ

CREDERE NELLA VITA, IL PIÙ PREZIOSO DEI DONI

Sono trascorsi ormai più di 40 anni (46 per la precisione) dalla prima Giornata, ma ogni volta il messaggio è unico e speciale. Quello del 2025 è stato, per certi versi, particolarmente atteso, in quanto illuminato dalla coincidenza con l’inizio dell’anno giubilare che ci apre con dolcezza e forza allo stesso tempo alla bellezza della speranza che non delude. La fragrante e luminosa forza della speranza è stata del resto impressa nel tema del messaggio della CEI: “Trasmettere la vita, speranza per il mondo”. Il tema non poteva essere più bello, ricco, armonioso, carico di evangelica premura nei confronti dell’esistenza umana.

Il legame tra la vita umana e la speranza è profondo, intenso e inseparabile. “Per ritrovare speranza bisogna avere il coraggio di dire la verità: la vita di ogni uomo è sacra”, scrissero i vescovi italiani nel 1979 all’indomani dell’approvazione della legge sull’aborto, agli albori della prima Giornata per la Vita. Oggi, ribadiscono i nostri Pastori, “abbandonare uno sguardo di speranza, capace di sostenere la difesa della vita e la tutela dei deboli, cedendo a logiche ispirate all’utilità immediata, alla difesa di interessi di parte o all’imposizione della legge del più forte, conduce inevitabilmente a uno scenario di morte”. La speranza si manifesta nella non rassegnazione nei confronti della “grande ‘strage degli innocenti’, che non può trovare alcuna giustificazione razionale o etica”, nella fiducia nel futuro massimamente rappresentata nel donare la vita e “ingrediente fondamentale per lo sviluppo della persona e della comunità”, nella tenacia di un “impegno per la vita” che “interpella innanzitutto la comunità cristiana, chiamata a fare di più per la diffusione di una cultura della vita e per sostenere le donne alle prese con gravidanze difficili da portare avanti”.

La Giornata dunque, anche quest’anno, ha voluto coinvolgere non solo la comunità dei credenti, ma tutti gli uomini in quanto tali, perché – come papa Francesco ha detto tante volte – l’intransigente difesa dell’uomo che comincia la sua esperienza esistenziale riguarda tutti ed è condizione di un rinnovamento generale della società.

Il messaggio conduce dunque a un tempo di meditazione corale su come rendere più efficace l’impegno riguardo al tema della vita e ripropone alla riflessione di tutti il valore della vita nascente nell’orizzonte a tutto campo della vita umana fragile, in ogni condizione e in ogni circostanza. Non può essere diversamente, dal momento che “l’uomo è la prima e fondamentale via della Chiesa” (Redemptor hominis), e per capire fino in fondo chi è l’uomo nella sua essenza occorre portare lo sguardo sull’uomo più povero di tutti, colui che non ha altra qualità se non quella del suo essere – appunto – uomo. La speranza di costruire una società accogliente e inclusiva inizia da qui, e questo sguardo è anche quello che costruisce la pace, come ha ricordato lo stesso papa Francesco in occasione del messaggio per la Giornata mondiale del 1° gennaio 2025: “Chiedo un impegno fermo a promuovere il rispetto della dignità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, perché ogni persona possa amare la propria vita e guardare con speranza al futuro”.

Con la Giornata per la Vita la Chiesa italiana ci ha chiesto, in definitiva, di scoprire le ragioni più profonde del valore di ogni figlio che comincia a esistere: “Il figlio non è soltanto, fin dal concepimento, uno di noi. È anche un miracolo, un concentrato di speranza, il più prezioso dei doni; ogni figlio è l’istintiva speranza che il bene alla fine supererà il male, che il futuro potrà essere migliore del passato” (Carlo Casini). Porre al centro il più piccolo, colui che – secondo la mentalità corrente – non conta, significa porre al centro tutto l’uomo e ogni uomo, rovesciando i paradigmi di una mentalità per cui vale solo chi ha potere, soldi, successo; è aprire orizzonti nuovi di speranza.

Due aspetti del messaggio, tra gli altri, meritano di essere maggiormente sottolineati. Giustamente i vescovi affermano che rinunciare alla vita impedendo a un figlio di nascere, non può essere mai considerato un “diritto”. Mai. È una pretesa ideologica: nessun indice di civiltà, nessuna autentica manifestazione di libertà. Nel punto 5 del messaggio i vescovi, richiamando la dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della fede, denunciano l’idea dell’aborto come diritto e l’inapplicazione della legge 194 che dovrebbero dissuadere dall’aborto e soprattutto ringraziano e incoraggiano “quanti si adoperano ‘per rimuovere le cause che porterebbero all’interruzione volontaria di gravidanza […] offrendo gli aiuti necessari sia durante la gravidanza che dopo il parto’ (legge 194/78, art. 5), come i Centri di Aiuto alla Vita, che in 50 anni di attività in Italia hanno aiutato a far nascere oltre 280.000 bambini”. Inoltre, scrivono i vescovi, il desiderio di trasmettere la vita non può sfociare nella genitorialità a tutti i costi, ma nell’accompagnamento “a una generatività e a una genitorialità non limitate alla procreazione, ma capaci di esprimersi nel prendersi cura degli altri e nell’accogliere soprattutto i piccoli che vengono rifiutati, sono orfani o migranti ‘non accompagnati’”. È questo un punto importantissimo, che aiuta a non cadere in equivoci e che porta a riflettere sul significato del generare, dell’essere generati e sul valore della fecondità non necessariamente legata alla procreazione. Anche per questa via si genera la speranza frutto della capacità di divenire dono per gli altri. In tale ottica, è proprio vero, così come ha scritto recentemente la giornalista di Avvenire Marina Corradi in una sua riflessione sul tema, che “il vagito di un figlio dissolve le nubi che ci scoraggiano”.

Giuseppe Carozza